Un voto tra ‘agorà’, ‘empatia’ e ‘riuso’: le vere parole chiave delle elezioni 2013

Un voto tra ‘agorà’, ‘empatia’ e ‘riuso’: le vere parole chiave delle elezioni 2013

brontolo_RC21/02/2013 – La campagna elettorale in vista del voto del 24 e 25 febbraio ha visto una commistione tra vecchi comizi e nuovi spazi digitali. Con ogni partito che cerca di affermare i propri slogan, sfruttando cultura popolare (come i supereroi) e ironia.

L’Italia giusta del Pd e quella che sale della Lista Civica con Monti; il patto del parlamentare sottoscritto dai candidati del Pdl; il valore all’ambiente, alle donne, all’Italia, al lavoro, alle persone, alla vita dell’Udc; il coraggio e il programma di tutti, e le idee di ciascuno, della Rivoluzione Civile di Ingroia; il ben augurante saluto rivolto da Vendola a sé e al suo movimento (“Benvenuta sinistra”); l’impegno ad agire, per evitare il peggio, di Oscar Giannino (“Fare per fermare il declino”). Sono le parole ufficiali con cui la campagna elettorale delle diverse forze politiche prova a far breccia nei cuori, diffidenti o induriti, dei milioni di elettori ancora indecisi sulla casella da barrare nel segreto dell’urna. Non dicono molto, o almeno non più di tanto. A fare la differenza il resto e il contesto, la politica come interfaccia e partecipazione.

Agorà, empatia, riuso. Mi sembrano queste, assai più di quelle suggerite dalle proposte ufficiali, le parole guida all’interpretazione della campagna elettorale più fluida e atipica dal primo dopoguerra. All’indomani della conclusione della Grande Guerra sono stati soprattutto i grandi comizi nelle piazze la novità più vistosa del confronto elettorale, mentre gli esponenti dei vari partiti percorrevano i loro collegi spostandosi in camion o in auto e prendendo con sé i potenziali elettori.

I comizi sono ora tornati, ma alle piazze e alle strade di un tempo si sono intanto affiancate le affollatissime autostrade informatiche in un’inedita miscela di vecchio e di nuovo. Sembra essere proprio un’originale alleanza fra passato e presente la chiave giusta per decifrare simboli e segni di una contesa giudicata da molti, un po’ superficialmente, grossolana o bruttina.

In un manifesto elettorale di Rivoluzione Civile il profilo (colorato in rosso) del Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, riprodotto nel logo, convive con il cancelletto dell’hashtag e il calembour: “#VotoFutile/#VotoUtile”; la prima parte del messaggio fa da didascalia a una foto di Monti e Bersani che si stringono la mano, la seconda al volto atteggiato a serietà e compostezza di Ingroia. Una buona riuscita in termini di creatività, come lo slogan del Pd (“Sleghiamoci. Dalla Lombardia si cambia l’Italia”) a sostegno della candidatura di Umberto Ambrosoli a governatore della Lombardia. Ma il punto vero, dicevo, è una per nulla scontata solidarietà fra vecchio e nuovo.

L’agorà è la piazza reale, riportata in auge dallo Tsunami Tour dell'”urlatore” Grillo, ma anche quella virtuale accarezzata da tutti i partiti e i candidati, andati nel frattempo a scuola da Obama. Nei tradizionali comizi il leader occupa per intero la scena, dettando comportamenti e programmi; oggi però, un attimo dopo essere stati pronunciata, ogni frase o parola di un suo discorso viaggia attraverso i social network e fa rapidamente il giro del mondo.

Registrata, trasmessa agli amici di Twitter o di Facebook, ripetuta di bocca virtuale in bocca virtuale come un mantra, trasforma le comunità di internauti in un potente strumento collettivo di controllo. È il fast-checking. Smaschera l’avversario se dice fandonie, se fa una dichiarazione incauta, se si lascia sorprendere in un commento furbo o interessato. All’autore del misfatto non resta che la smentita, la più immediata e indolore possibile. L’agorà reale si lega così a quella virtuale quasi in un patto di sangue. Chi assiste a un comizio (ma anche a un evento al chiuso, in un teatro o un auditorium) può liberamente filmare quel che vede e che sente e, altrettanto liberamente, scaricarlo in rete; al tribunale virtuale il compito di giudicare e, se è il caso, censurare.

L’empatia è da tempo familiare alla politica spettacolo, gregaria di una comunicazione che ha sostituito la capacità di argomentare dei rappresentanti della Prima Repubblica con l’appeal dei modi, degli abiti, dei comportamenti. Ma se l’empatia in sé, con l’embrayage e il populismo mediatico che ne armano il braccio, non è certo una novità sul panorama politico, sono invece per molti versi nuove le modalità e le azioni con cui questa campagna elettorale l’ha fatta propria.

Le prime sposano l’amichevolezza di un tweet con la rapidità e l’efficacia di uno slogan: se voglio cogliere nel segno, e so di poter disporre di non più di 140 caratteri, devo calarmi nei panni di un perfetto copywriter o affidarmi a uno spin doctor che lo impersoni per me. Le seconde, come nelle più classiche delle strategie di advertising, caricano storie e testimonianze, oggetti e soggetti di un valore simbolico: il carlino Puggy e la randagia Vittoria di Berlusconi, la cagnolina Trozzy (poi ribattezzataEmpatia, per gli amici Empy) affidata da Irene Bignardi a un Monti imbarazzato, il gatto (nero) di casa Bersani e quello (Arturo) un tempo posseduto da Giannino, il cucciolo (Braciola) fotografato su una poltroncina della sede di Sinistra ecologia e libertà, e acciambellato sulla bandiera del movimento, sono icone di consumo come l’omino della Michelin o l’ippopotamo della Lines.

Qui la scuola è ancora americana: il fido Bo, un cão de água portoghese, che Obama lascia scorrazzare alla Casa Bianca da quando la occupa; Barney, l’adorato scottish terrier di Bush, pianto recentemente (e pubblicamente) dall’ex-presidente.

Anche il riuso, nella competizione politica, non è certo una novità. La Dc, che nel 1946 si era affidata a slogan come “Dio, patria, famiglia, vota per la Democrazia Cristiana”, nel 1958 avrebbe esortato a “Votare Dc / votare per la Dc / lo scudo dipinto di blu / lo devi votare anche tu”. Palinsesti e riscritture, rifacimenti e parodie raggiungono però in questa campagna elettorale, per qualità e quantità, livelli sorprendenti.

Sul sito di Rivoluzione Civile campeggia, al momento in cui scrivo, un volto mostruoso che unisce due mezze facce: la prima è di Grillo, la seconda di Berlusconi (lo slogan: “Sulla magistratura Grillo come Berlusconi”). Tanti i precedenti, dalla locandina di un film del 1997 diretto da John Woo (Face/Off) alle copertine del fumetto nero di un’antieroina (Satanik) degli anni Sessanta e Settanta.

Proprio i sostenitori di Ingroia, recuperando anche alcuni dei supereroi (i Fantastici Quattro) di una fortunata rivisitazione ironica dei candidati alle primarie del Pd, hanno massicciamente attinto ai personaggi di fumetti e cartoni animati: “1.500 euro di rincari per famiglia. Ci sono rimasto di pietra. Cosa disoccupato”; “Basta con questi mostri che ammorbano le istituzioni. Dylan Dog, lavoratore a progetto”; “Lavorare fino a 70 anni? No grazie. Brontolo, 60 anni, minatore”; “Voglio la scuola pubblica e laica. Mafalda studentessa”; “Il nucleare fa male. Meglio le rinnovabili. Homer, 40 anni, resp. sicurezza”; “Chi ha tolto l’articolo 18 non merita nemmeno l’inferno. Ken Shiro dipendente palestre Hokuto”; “Servizi, sport, verde, centri sociali nei quartieri popolari. Gruppo TNT, collettivo politico”; “Prendiamo a martellate mafia e corruzione. Thor, 25 anni, militante antimafia”; “Voglio un piano di sostegno per l’agricoltura. Nonna Papera, 75 anni, contadina”.

Lo stesso Pd non si è dimostrato da meno, con i Trecento Spartani a dargli una mano. Sul loro sito, a sostegno dell’Italia giusta del candidato premier, un’iconcina di Batman/Bersani, con tanto di sigaro in bocca, sovrasta quelle dei cinque “cattivi di Gotham City”: Monti/Mr. Freeze, Grillo/Penguin, Giannino/Enigmista, Ingroia/Double Face e Berlusconi/Joker.

Un interessante esempio di convergenza fra il vecchio e il nuovo all’insegna della boutade o dello sberleffo consiste nel manipolare parole e immagini alla maniera della vecchia contropolitica che negli anni Cinquanta e Sessanta, con le azioni di sabotaggio culturale antiborghese dei situazionisti, praticava il culture jamming.

Ne avevamo avuto una ghiotta anticipazione nell’occasione delle politiche del 2001, con i finti poster di Forza Italia e i manifesti del Cavaliere goliardicamente ritoccati, integrati o riscritti, ma nulla al confronto con i taroccamenti di questa campagna elettorale.

Prodotte perlopiù dal popolo della rete, le rivisitazioni parodiche di slogan, messaggi, programmi elettorali non risparmiano nessuno: la “Scelta civica con Monti per l’Italia” e “L’Italia che sale” diventano “Scelta cinica con Monti per i tagli” e “L’Italia for sale” (o “L’Italia al salasso”); l'”Italia giusta” di Bersani si trasforma in un'”Italia guasta”, la “Rivoluzione civile Ingroia” in “Rivoluzione grafica Ingoia”; “Benvenuta sinistra. Sinistra ecologia e libertà con Vendola” lascia inalterata l’apertura ma modifica il resto e, con esso, il contesto figurativo: le facce sorridenti degli uomini e delle donne dei  manifesti originali lasciano il posto ora a un deserto abitato da due uomini e un cane (“Benvenuta sinistra. Ci eravamo allontanati, c’è ancora qualcuno? Sinistra deserto libertà”), ora all’interno di una bottiglia di acqua minerale in cui, come nella pubblicità del marchio, una particella di sodio s’interroga spaesata sulla presenza di eventuali suoi simili (“Benvenuta sinistra. C’è nessunoooooooo? Sodio ecologia libertà”).

Più che Vota Antonio, insomma, Svuota Antonio. Per poi riempire il contenitore dell’avversario politico con l’acqua tirata al proprio mulino. E, alla fine, aggiungervi l’effervescenza di tante belle bollicine.

Fonte: Repubblica.it | Autore: Massimo Arcangeli

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