Democrazia liquida e legiferazione diffusa: come internet cambia le democrazie contemporanee

Democrazia liquida e legiferazione diffusa: come internet cambia le democrazie contemporanee

24/10/2012 – Le Costituzioni moderne accolgono, come noto, il principio di separazione dei poteri di Montesquieu, distinguendo tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Esso si è cristallizzato per oltre tre secoli in sistemi politici ormai in decadenza, non prevedendosi che la tecnologia digitale avrebbe così radicalmente trasfigurato l’ecosistema sociale. Tuttavia, se il tema dell’amministrazione digitale o eGovernment comincia ad avere discreta diffusione, quanto quello della giustizia digitale, altrettanto non può dirsi per gli esperimenti dedicati ai progetti politici online o alle proposte legislative online.
Una di queste forme di attivisimo digitale è costituita dal progetto Liquid Feedback, il quale consiste in un software open-source che consente di discutere e votare proposte direttamente sulla Rete, integrando un processo di cosiddetta “democrazia liquida”. Introdotto in Germania dal Partito Pirata, utilizzato in Italia dal Movimento 5 Stelle, ad esempio per definire il programma politico dell prossime elezione regionali in Sicilia, ha ricevuto pubblicità recentemente da parte del giornalista Michele Santoro, che ha deciso di adottarlo nella nuova edizione del programma Servizio Pubblico.
Il suo funzionamento è indubbiamente innovativo e merita attenta riflessione dagli attori della scena politica e dai cittadini, perché potrebbe essere il futuro sostituto della democrazia rappresentativa presente (a meno che non si voglia illusoriamente considerare quest’ultima l’approdo politico finale, posto che in verità all’innovazione non v’è mai fine). In termini strettamente giuridici, occorre interrogarsi sulle modifiche costituzionali da apportare, qualora la società decida di adottare tale nuovo sistema decisionale.
Infatti, alcune caratteristiche della democrazia interattiva contrastano con l’odierno ordinamento costituzionale. Laddove la Carta Fondamentale italiana qualifica gli eletti come “rappresentanti”, irrevocabili per un preciso periodo di tempo, la democrazia liquida è formata di “delegati”, la cui delega può essere ritirata in ogni momento: inoltre, il delegato può a sua volta delegare. Cito testualmente: “un elettore può delegare il suo voto a un fiduciario, tecnicamente un intermediario (proxy) temporaneo. Il voto può essere ulteriormente delegato ad un intermediario dell’intermediario, in modo da produrre una catena di deleghe basate sulla fiducia. Tutte le deleghe possono essere create, modificate o revocate a seconda dell’argomento di discussione. Per esempio, io voto per le questioni ambientali, ma Anne mi rappresenta per la politica estera. Mike mi rappresenta in tutte le altre aree ma posso cambiare idea in qualsiasi momento.” La ratio risiede nella considerazione che nessuno può sapere tutto di tutto, perciò si conferisce incarico fiduciario a chi si ritiene essere competente in una o più discipline. Allo stesso modo, si renderebbe necessario rimodulare i procedimenti formativi delle decisioni, in quanto Liquid Feedback si fonda sul Metodo Schulze, ad esempio per risolvere il problema delle proposte-clone, poiché non è prevista moderazione o unificazione di proposte simili. In definitiva, presenta sfide rilevanti per i costituzionalisti, per i politologi, ma soprattutto per i cittadini.
Altra novità, ancor più recente, è il Crowdsourced law-making o crowdsourcing legislation, che in italiano potremmo tradurre con “legiferazione diffusa”. Trattasi di una forma di iniziativa legislativa, su base di democrazia partecipativa, che sfrutta gli strumenti digitali e le piattaforme internet al fine di strutturare proposte normative da parte dei cittadini, al di fuori delle canoniche istituzioni legislative costituzionalmente previste.
La Costituzione italiana prevede attualmente solo due meccanismi di proposta “dal basso”: in primis, l’articolo 50 consente ai cittadini di inviare petizioni rispetto a temi sui quali si richiede una legislazione pertinente; la seconda alternativa è il progetto di legge d’iniziativa popolare di cui all’articolo 71, comma 2, che però necessita di una raccolta (ovviamente cartacea) di cinquantamila firme.
Invece, in Finlandia, da quest’anno, è attivo un progetto di legiferazione diffusa, invitandosi i cittadini a registrarsi sul sito Open Ministry per presentare le loro idee, in maniera più rigida dei sistemi di democrazia liquida e quindi meno soggetta a infinite modifiche. Pur avviato da un’associazione no-profit, Open Ministry ha ricevuto il crisma autorizzatorio del Governo Finalndese, che ha certificato l’affidabilità del software utilizzato, il quale, peraltro, verifica l’identità del soggetto tramite le API offerte dalle banche e dagli operatori mobili, affinché sia fruibile mediante il proprio account home banking o il proprio smartphone. Qualora una singola proposta ottenga più di cinquantamila sottoscrizioni, è fatto obbligo al Parlamento finlandese di adottarla e renderla legge.
Procedimenti simili, sebbene meno vincolanti, esistono anche altrove. In Inghilterra, è possibile inoltrare petizioni elettroniche, le quali restano aperte per un anno e che, se sottoscritte da almeno centomila persone, possono (ma non devono) essere discusse alla Camera dei Comuni.
Lungi dal ritenere che in tempi brevi avverrano trasformazioni socio-politiche così radicali, le quali necessitano di un’educazione digitale ancora carente in Italia e nell’Europa continentale rispetto ai Paesi Nordici, l’evoluzione che sta subendo l’assetto classico degli Stati, in virtù delle nuove tecnologie, impone una valutazione ed un’azione ponderate, ma serrate, attente, ma rapide, prima che i cittadini delle future comunità intelligenti rimangano schiacciati tra l’incudine analogica e il martello digitale.

Fonte: leggioggi.it | Autore: Francesco Minazzi

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