Guardando il rospo negli occhi

Guardando il rospo negli occhi

I dati elettorali sono come i quadri astratti o certi film sperimentali: chiunque li guarda può leggervi quello che vuole e interpretarli come meglio crede e il voto di ieri non sfugge certo a questa immutabile regola del discorso pubblico italiano. Però è doveroso non sottrarsi a un tentativo di analisi il più possibile oggettivo, cercando di mixare tra loro numeri e riflessioni, traendo quel po’ di verità che esiste in ciascuna delle diverse letture del dato.

Matteo Renzi in un suo tweet un po’ puerile di ieri notte ricordava che il PD ha vinto in 2 regioni su 2 ed è largamente il primo partito sia in Emilia Romagna che in Calabria. Questo è un dato incontestabile e nessuno pone in discussione la vittoria formale della coalizione di centrosinistra e del PD. Però la confusione e un po’ di panico regnano nell’entourage renziano e lo si capisce da un fatto: mentre di solito la comunicazione è basata su 2-3 frasi brevi e semplicistiche rilanciate come un mantra da tutti i componenti il cerchio magico e riprese e replicate ossessivamente dai sostenitori del leader di secondo e terzo livello, oggi invece si recita a soggetto. Pertanto, mentre il premier si intesta il 2-0 e lo collega con tutte le altre competizioni dell’ultimo anno come un successo del nuovo PD e del governo, altri (come la Boschi) si industriano nel sottolineare che non siamo davanti a un dato da leggere in chiave nazionale, ma a una mera competizione locale. I meno intelligenti tra i pretoriani, invece, si affannano a dare la colpa dell’elevatissima astensione agli elettori stessi (ingrati), ai giudici che hanno sollevato il vaso di Pandora dell’immoralità politica regionale (cioè il colpevole non è chi compie un reato, ma chi lo persegue) o alla scarsa abitudine dei nostri elettori a votare in autunno.

La notte ha portato se non consiglio, almeno disciplina. Pertanto ora la linea ufficiale nel “Partito della Nazione” è: “Abbiamo vinto, va tutto bene, avanti così!” E quindi, improvvisamente, è tutto un cinguettare congratulazioni via web, un darsi virtuali pacche sulle spalle e sorridere felici.

C’è poi un’altra lettura dei dati, incentrata sul caso dell’Emilia Romagna, non solo perché rispetto alla Calabria è regione più grande e ricca, ma soprattutto per il suo enorme carico simbolico nella politica italiana, dentro e fuori dal recinto della sinistra. Una lettura che riassumo in 4 punti molto semplici:

  1. Da quando esiste l’elezione diretta, nessun presidente dell’Emilia Romagna è mai stato eletto con una percentuale inferiore al 50% dei voti. Bonaccini si è fermato al 49%;
  2. Il dato dell’affluenza è il peggiore mai registrato in una elezione regionale e non è il prodotto di un trend lento e costante, ma la conseguenza di un crollo improvviso e repentino;
  3. Da quando ha preso il via il percorso del Partito Democratico (Europee 2004), il principale partito di centrosinistra non ha mai preso così pochi voti;
  4. Rispetto alle Europee di soli pochi mesi fa la percentuale del PD ha avuto una flessione dell’8%.

Quanto riportato non sono opinioni, ma fatti e in quanto tali non contestabili. Possono essere spiegati ma nessuna spiegazione, neppure la più creativa, potrà dimostrare che quella di ieri sia stata una bella giornata per il PD emiliano. E non basta dire “abbiamo vinto la presidenza” per oscurare questi dati, dal momento che la sinistra ha sempre vinto ogni competizione regionale in Emilia Romagna dal 1970 ad oggi… Quindi, verrebbe da dire, vorrei ben vedere se fosse successo il contrario!

La tabella illustra – spero con chiarezza – i dati nudi e crudi:Presentazione standard1

Quasi 6 elettori su 10 che a maggio avevano votato per il PD non lo hanno rivotato o sono rimasti a casa. Ma se comparare tra loro elezioni diverse può essere metodologicamente poco corretto, anche il rapporto con le regionali 2005 e 2010 è assolutamente impietoso. L’emorragia dell’astensione non colpisce “anche” il PD, colpisce il PD in primis. Questo è il vero dato anomalo rispetto alle esperienze precedenti.

Infatti, in passato, i picchi più alti di consenso del PD si avevano in concomitanza con le flessioni nell’affluenza (con la sola eccezione del 2009). Questo significa l’esistenza di una proporzionalità inversa tra dato dell’affluenza e dato del PD, come dimostrato dal grafico estrapolato dalla tabella precedente:

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Questa solidità dei democratici in presenza di fibrillazioni del sistema si poteva spiegare in un modo solo: la fedeltà alla “ditta” da parte dell’elettore emiliano. Che magari protesta, magari sbuffa, magari si incazza, ma quando si deve votare, si tappa il naso, le orecchie e entrambi gli occhi e va a sostenere il “partitone”. Ieri invece non ci è andato.

La vittoria del centrosinistra non era in discussione: con un M5S in caduta libera e il centrodestra lasciato in balia del “fascioleghismo” di Matteo Salvini lo scontento dell’elettore emiliano non poteva andare direttamente verso posizioni così estreme e quindi ha scelto l’astensione. Astensione non come “non voto” ma come forma alternativa di voto.

E quindi illustrati sinteticamente i dati, ora sputo il rospo. Come più volte ricordato anche su questo blog, il 40.8% delle Europee non è un punto di partenza, ma sotto certi aspetti di arrivo. E’ un risultato irripetibile perché teneva assieme entusiasmo e fiducia nella nuova leadership di Matteo Renzi, voglia di cambiamento, scontento nell’alternativa di destra, apertura di credito alla sola forza politica e strutturata su basi democratiche. Ora non è certo iniziato il riflusso, ma quello di ieri è un pesante segnale di allarme che sarebbe folle derubricare – come fa Renzi – a “fatto secondario”.

E’ ovvio che pubblicamente non ci saranno analisi complesse, letture critiche e tanto meno autocritiche. La retorica renziana è costruita su un percorso che non conosce ripensamenti, soste o rallentamenti. Quindi bisogna sempre dare l’impressione che si sta procedendo lungo un rettilineo e che chi si ferma è perduto. Però il rischio del deragliamento è dietro l’angolo: ad oggi Renzi ha cercato consenso tra l’elettorato in uscita da destra e per ottenerlo ha preso a ceffoni il suo patrimonio elettorale di riferimento, ma trascura che un voto poco fidelizzato è una base troppo fragile sulla quale costruire trionfi futuri… i voti strappati alla destra sono voti in prestito e come tali possono venire meno dall’oggi al domani.

Il PD di Renzi rischia di crollare come un castello di carte. In fondo, anche Silvio Berlusconi fino a 3-4 anni fa raccoglieva 10-12 milioni di voti e oggi è ridotto a comparsa… Per questo trascurare la disaffezione, l’antipolitica, la lontananza della gente dai processi della democrazia rappresentativa non è solo insostenibilmente arrogante, ma potrebbe anche essere molto stupido.images-1

Il rospo dell’antipolitica è sul tavolo, tocca a tutti coloro che hanno un ruolo dirigente guardarlo negli occhi. Perché il vero #cambiareverso del voto di ieri non è certo l’ennesima vittoria del centrosinistra nell’Emilia Rossa, ma la fuga dalle urne di quella che fu la parte del paese più democratica, più aperta e più partecipativa.

Non è stata una giornata di cui i democratici possano andare fieri.

Marco Cucchini | Poli@rchia (c)

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