Se la politica non basta diventiamo hacker

Se la politica non basta diventiamo hacker

11/12/2013 – Politica lenta, dati Istat disarmananti. Riccardo Luna parla di civil hacking, democrazia e internet.
 
L’hanno chiamata wikicrazia, open government, democrazia 2.0 e democrazia aumentata, ma a fronte di una esplosione dell’impegno via web dei cittadini e delle professioni di fede dei nostri rappresentanti, la politica tradizionale sembra ancora legata a contesti e metodi tradizionali: tesseramenti, comunicati a mezzo stampa, interventi nelle trasmissioni televisive.

Ultimamente, con l’ascesa di Matteo Renzi, anche gli hangout su Google+ (sono note le immagini, passate nei telegiornali, del sindaco di Firenze intento a twittare ai propri follower e contemporaneamente impegnato in un Hangout in diretta) sembrano aver fatto breccia nel mondo politico. Nuova frontiera, è stato definito, il social network che permette al politico di raggiungere i cittadini face-to-face, ma l’apporto che le “nuove” tecnologie possono dare alla politica sono certamente molteplici e non si fermano ai social network.

L’evento di presentazione del libro di Riccardo Luna “Cambiamo tutto!” del 9 dicembre 2013 presso Montecitorio, tiene traccia proprio di questo, dei nuovi strumenti che il web mette a disposizione, con i quali alcuni italiani ci stanno provando, sia dal punto di vista economico che di impegno civile e altri, invece, che ce l’hanno fatta.

All’incontro hanno partecipato, nel primo panel di interventi, anche alcuni politici: Ilaria Capua di Scelta Civica per l’Italia, Paolo Coppola del Partito Democratico, Antonio Palmieri, esponente di Forza Italia e Giulia Grillo del Movimento 5 Stelle, per discutere, in particolare, del rapporto tra politica e innovazione.

Il rapporto in questione assume una duplice connotazione, da un lato garantirebbe un nuovo modo di fare politica, dall’altro permetterebbe una semplificazione dei processi, tale da evitare di disperdere risorse pubbliche. A tale riguardo Paolo Coppola, promotore di una XV Commissione permanente competente in materia dei temi dell’Agenda Digitale, ha affermato che, in politica, queste materie risultano essere “sparpagliate tra le varie Commissioni”, e che ci sarebbe bisogno di una visione unica di questi aspetti, sviluppata proprio da una XV Commissione “in grado di fornire pareri obbligatori, dal punto di vista dell’informatizzazione, sugli altri progetti di legge”. Ma i tempi del Parlamento risultano essere “tempi geologici” e molto spesso si rischia di disperdere energie e risorse pubbliche. Sulla stessa linea Antonio Palmieri, il quale ha sottolineato che “la rivoluzione digitale non si esaurisce in un colpo di mano, ma è guerra di trincea”. Una guerra che dura da anni, però, e che a fronte di disposizioni già attuate dai precedenti Governi (tra i quali i Codici dell’Amministrazione Digitale del 2005 e 2010), restano ancora 35 decreti attuativi pendenti dalla XVI legislatura e, inoltre, gran parte delle disposizioni previste risultano prive di sanzioni, quindi vere e proprie “lettere morte”.

Il rapporto politica-innovazione è stato, inoltre, particolarmente travagliato in questi mesi. Ha visto, infatti, una forza politica rilevantissima e, a detta di molti, anti-sistema, come il M5S, farsi principale promotore della rivoluzione 2.0 della politica, tanto da rischiare di far guardare con timore, da parte degli altri partiti, alle innovazioni che il web ha messo in campo negli ultimi anni. Giulia Grillo ha sottolineato che, al netto degli interventi già realizzati per la digitalizzazione, “non ci sono stati sforzi, azioni concrete – da parte del mondo politico – per implementarli”.

Tuttavia, non si può pensare di considerare il Movimento di Grillo come l’unico depositario degli strumenti innovativi che internet mette a disposizione. La politica, anche quella più legata alla tradizione, non può esimersi dal confrontarsi e cimentarsi con tali innovazioni.

I dati dell’Osservatorio Banda Larga-Between mostrano, però, come la copertura broadband sia al 95% del territorio nazionale, con ben 2,4 milioni di famiglie italiane in digital divide di rete fissa, 1,2 milioni di famiglie e 300 mila imprese in digital divide totale (compresa la rete mobile).

dati ISTAT (2012) mostrano, inoltre, che in Italia esiste ancora un forte gap infrastrutturale rispetto alla network society. Evidenziano, in generale, un vero e proprio digital divide culturale: la maggior parte delle famiglie che non dispone di un accesso a Internet da casa indica come principale motivo del non utilizzo della rete l’incapacità di gestire tale tecnologia (43,3%).

A fronte di una siffatta situazione è davvero reale il cambiamento che la cultura digitale sta apportando al modo di fare politica?

Il Civil hacking, inteso come la necessità di “hackerare le istituzioni per renderle più trasparenti, non è certo la panacea di tutti i mali, ma rappresenta certamente un tentativo di avvicinarsi ancor di più a chi, non sentendosi rappresentato, si auto-isola dalla vita pubblica.

La trasparenza delle attività amministrative e politiche, nonché la disponibilità dei dati pubblici permettono di responsabilizzare l’attività politica, ma al tempo stesso il civil hacking è una delle modalità per partecipare, per dirla con Riccardo Luna, “senza permesso”, vale a dire senza attendere il consenso dei partiti, senza aspettare che una legge esca dal Parlamento per togliere le castagne dal fuoco, ma andandosi a cercare quella trasparenza attraverso la propria stessa iniziativa.

Certamente non si può pensare di scimmiottare il M5S, né di mettersi nelle mani di una “dittatura degli attivi”, ma di dare risposte concrete alle richieste di sorveglianza, trasparenza e partecipazione che serpeggiano nella società e si configurano come un vero e proprio antidoto al problema del rapporto tra eletti ed elettori.

L’uso di tale potere ha messo capo a nuove forme di partecipazione ed espressione, che hanno preso vita proprio grazie ad internet, spazio di vigilanza e valutazione globale. Proprio come afferma il sociologo e storico francese Pierre Rosanvallon, Internet può essere considerata propriamente una forma politica, parte della soluzione all’auto-isolamento, e i partiti non possono non tenerlo presente.

Autore: Patrick Paris | Fonte: linkiesta.it

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