Portaborse, niente regole nella legge taglia-stipendi del M5s

Portaborse, niente regole nella legge taglia-stipendi del M5s

Nel testo all’esame della Camera non c’è traccia di regolamenti sui compensi dei collaboratori dei parlamentari. Che continuano a essere pagati perlopiù in nero. Mentre nel resto d’Europa sono stipendiati direttamente dalle istituzioni.

Ridurre sì. Regolamentare no. Nel testo del M5s che è attualmente all’esame della Camera sulla riduzione delle indennità dei parlamentari, non c’è traccia delle nuove regole sul pagamento degli stipendi dei collaboratori di deputati e senatori, i cosiddetti “portaborse“.

Nella proposta di legge del Movimento 5 Stelle a prima firma Roberta Lombardi non è previsto un fondo specifico per gli stipendi degli assistenti, né una regolamentazione specifica per la loro erogazione. Continuerebbero ad essere coperti dai 3690 euro del “rimborso per le spese per l’esercizio del mandato”. Nessuna variazione, dunque, rispetto alla situazione attuale in cui i parlamentari attingono a quei fondi – non vincolati a precise voci di spesa – per retribuire chi li affianca. Se la proposta del M5S passasse l’unica variazione effettiva sarebbe nella denominazione della voce di bilancio: sarebbero rendicontati come “spese per l’esercizio del mandato e la retribuzione dei collaboratori”.

“Il taglio della sola indennità senza una riforma complessiva del trattamento economico degli stessi, continuando a erogare rimborsi anziché servizi sul modello di altri Parlamenti europei non ha senso” a giudizio di Valentina Tonti, presidentessa dell’Associazione Italiana Collaboratori Parlamentari. Nella bagarre sulla riduzione dei costi della politica, in cui il Movimento è dalla sua nascita, sempre in prima fila, non c’è spazio per garantire trasparenza ai contratti dei tanti collaboratori di senatori e deputati di cui pure i parlamentari a 5 Stelle si circondano.

“Manca la volontà politica di affrontare il problema – prosegue Tonti – la mancata discussione di questo aspetto in commissione è un’occasione persa”. Già il 6 ottobre, infatti, la commissione Affari Costituzionali aveva deciso di stralciare dalla discussione sugli stipendi dei parlamentari la parte sulle spese di segreteria. Il presidente Andrea Mazziotti (Ci), aveva giustificato la scelta sostenendo che la proposta di legge di Marialuisa Gnecchi (Pd), sui rapporti di lavoro tra parlamentari e collaboratori fosse all’esame in commissione Lavoro. Quell’esame però è fermo dal 15 ottobre 2014.

Alcuni emendamenti presentati da Luigi Famiglietti (Pd) e Dore Misuraca (Ap) avevano però proposto di far determinare il numero di assistenti e collaboratori dagli uffici di presidenza, destinando un fondo per ciascun parlamentare per retribuire i propri collaboratori di 3500 euro. Un’impostazione simile a quella dell’Europarlamento di Bruxelles, in cui gli stipendi dei collaboratori vengono erogati direttamente dall’istituzione su richiesta dei deputati. Tutto tracciato, rendicontato e soprattutto uniformato. Modifiche per cui “non sarebbe nemmeno necessaria una legge – precisa Valentina Tonti – ma sarebbe sufficiente un decreto degli uffici di presidenza di Camera e Senato”.

Fonte: repubblica.it

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