La You-Campaign di Hillary

La You-Campaign di Hillary

14/04/2015 – Hillary Clinton ha ufficializzato la sua candidatura alle primarie democratiche attraverso un video su YouTube.

Il video è apparentemente ordinario: breve (2.18 minuti), scevro da qualsiasi concessione alla spettacolarizzazione, sceneggiatura semplice e lineare, contenuti chiari e “puliti”. Ad una prima analisi, appare come uno spot poco interessante, al netto del valore-notizia evidentemente rilevante. Magari in linea con una primaria ancora a bassa intensità.

Ad una lettura più approfondita, invece, il video rivela importanti elementi di conoscenza sugli orientamenti di campagna, perché mostra quanto il paradigma del digital campaigning à la Obama sia stato profondamente assimilato dalla comunicazione politica americana. Quantomeno da parte democratica.

La campagna elettorale digitale post-Obama è definitivamente you-oriented. Infatti protagonista del video di Hillary Clinton è il cittadino comune, inteso non come categoria generale, bensì come singolo individuo che conta di per se stesso, con nome e cognome, per ciò che è e per ciò che fa. Così come al centro del funzionamento dei media sociali c’è l’utente, che è al contempo produttore, distributore e consumatore di contenuti. Protagonista della candidatura è ciascun cittadino americano, che contribuisce con la sua personale esperienza ad aggregare la grande narrazione dell’american way of life stile anni Dieci. La “tua” vita come un post a comporre la narrazione della candidatura sulla bacheca del suo profilo Facebook.

Hillary entra in scena dopo, al minuto 1.16, e prende la parola per appena il 38% della durata del film. L’immaginario comunicativo della Clinton è costituito dal 62% di persone comuni e dal 38% del candidato.
La lezione delle “rivoluzionarie” presidenziali 2008 e 2012 è tutta contenuta in questa proporzione.

Nell’era del digitale, della politica strutturata come network di network e dei social media come luogo privilegiato del consumo mediale, le campagne del candidato lasciano il campo alle campagne per il candidato. Al centro, non lui, ma “tu”. Broadcast yourself, esortava YouTube agli esordi. Il candidato di una campagna digitale è quello che conta “su di te”, come Facebook conta “su di te” per costruire senso e consenso all’interno della piattaforma altrimenti non-significante. Come Twitter conta “su di te” quale fattore di innesco e sviluppo delle conversazioni e cronista live sul campo. Come Instagram conta “su di te” per la produzione di molteplici immaginari pulviscolari.

Il concept del video annuncia una campagna elettorale che avrà al centro l’elettore per il candidato, più che il candidato per l’elettore. Questo è il reale cambio di paradigma imposto dal modello Obama alla comunicazione politica. La composizione dello staff, dal canto suo, accredita questa interpretazione: la scelta di Robby Mook come campaign manager lascia presagire una campagna data-driven, così come la posizione di Stephanie Hannon, già direttrice del settore Product Management, Civic Innovation and Social Impact di Google, quale supervisor della campagna online.

Un video basico, dunque, che però lascia trasparire tutta la complessità (e il fascino) di una campagna totale che se, da un parte, risalterà al vertice per la grande macchina mediatico-spettacolare di sempre, magari in chiave sempre più interattiva (a quando le campagne videogame?), dall’altra parte avrà alla base la mobilitazione di un esercito organizzato capillarmente di volontari indefessi, instancabili testimonial porta-a-porta della nuova America democratica. Le reti sociali digitali esigono la presenza attiva delle persone che, perciò, devono essere coinvolte e motivate alla partecipazione responsabile. Solo sulle loro gambe e sui loro sorrisi empatici la campagna digitale potrà tradurre le volatili e spesso frivole intenzioni di voto, prodotte mediaticamente, in concreto comportamento elettorale. Il video della Clinton, infatti, comincia da loro.

Post scritto da Cristopher Cepernich, Università di Torino, @Cepernich | Fonte: huffingtonpost.it

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