Storia delle fake news: da Tucidide a Marcello Foa

Storia delle fake news: da Tucidide a Marcello Foa

Il termine è apparso negli Usa nel 1890 ma la prima risale addirittura al 1275 a.C. Dagli esperimenti del Kgb alla campagna di Trump fino al presidente della Rai, un excursus della bufala. 

Prima di Bufale un tanto al chilo o di David Puente c’era stato Niccolò Machiavelli. «Quanto le accuse sono utili alle republiche, tanto sono perniziose le calunnie», è il titolo dell’ottavo capitolo del Primo Libro dei suoi Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio. In quella sorta di “manuale per democrazie” che fa da necessario contrappunto al “manuale per dittature” costituito dal Principe, il “segretario fiorentino” osservava come era stato proprio l’uso politico della giustizia alimentato da notizie fasulle a distruggere le istituzioni repubblicane di Firenze. Vicende che abbiamo appena rivisto, ovviamente romanzate, nella serie tivù sui Medici.

LA CONTEMPORANEITÀ DI MACHIAVELLI

«È da notare, per questo testo, quanto siano nelle città libere, ed in ogni altro modo di vivere, detestabili le calunnie», scriveva sempre Machiavelli, «e come, per reprimerle, si debba non perdonare a ordine alcuno che vi faccia a proposito. Né può essere migliore ordine, a torle via, che aprire assai luoghi alle accuse; perché, quanto le accuse giovano alle republiche, tanto le calunnie nuocono: e dall’una all’altra parte è questa differenza, che le calunnie non hanno bisogno né di testimone né di alcuno altro particulare riscontro a provarle, in modo che ciascuno e da ciascuno può essere calunniato; ma non può già essere accusato, avendo le accuse bisogno di riscontri veri e di circunstanze che mostrino la verità dell’accusa». La descrizione è ancora di una efficacia soprendente. «Accusansi gli uomini a’ magistrati, a’ popoli, a’ consigli; calunnionsi per le piazze e per le logge. Usasi più questa calunnia dove si usa meno l’accusa, e dove le città sono meno ordinate a riceverle. Però, un ordinatore d’una republica debbe ordinare che si possa in quella accusare ogni cittadino, sanza alcuna paura o sanza alcuno rispetto; e fatto questo, e bene osservato, debbe punire acremente i calunniatori: i quali non si possono dolere quando siano puniti, avendo i luoghi aperti a udire le accuse di colui che gli avesse per le logge calunniato. E dove non è bene ordinata questa parte, seguitano sempre disordini grandi: perché le calunnie irritano, e non castigano i cittadini; e gli irritati pensano di valersi, odiando più presto, che temendo, le cose che si dicano contro a loro».

“E chi legge le istorie di questa città, vedrà quante calunnie sono state in ogni tempo date a’ suoi cittadini, che si sono adoperati nelle cose importanti di quella”

Niccolò Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio

Secondo Machiavelli «questa parte, come è detto, era bene ordinata in Roma; ed è stata sempre male ordinata nella nostra città di Firenze. E come a Roma questo ordine fece molto bene, a Firenze questo disordine fece molto male. E chi legge le istorie di questa città, vedrà quante calunnie sono state in ogni tempo date a’ suoi cittadini, che si sono adoperati nelle cose importanti di quella. Dell’uno dicevano, ch’egli aveva rubato i danari al Comune; dell’altro, che non aveva vinta una impresa per essere stato corrotto; e che quell’altro per sua ambizione aveva fatto il tale ed il tale inconveniente. Di che ne nasceva che da ogni parte ne surgeva odio: donde si veniva alla divisione, dalla divisione alle sètte, dalle sètte alla rovina. Che se fusse stato in Firenze ordine d’accusare i cittadini, e punire i calunniatori, non seguivano infiniti scandoli che sono seguiti; perché quelli cittadini, o condannati o assoluti che fussono, non arebbono potuto nuocere alla città, e sarebbeno stati accusati meno assai che non ne erano calunniati, non si potendo, come ho detto, accusare come calunniare ciascuno. Ed intra l’altre cose di che si è valuto alcun cittadino per venire alla grandezza sua, sono state queste calunnie: le quali venendo contro a cittadini potenti che all’appetito suo si opponevano, facevono assai per quello; perché, pigliando la parte del Popolo, e confermandolo nella mala opinione ch’egli aveva di loro, se lo fece amico».

MONTANELLI, FEDERICO II DI PRUSSIA E MARCELLO FOA

Beppe Grillo come Girolamo Savonarola, insomma. E quelle che Machiavelli chiamava «calunnie» sono le attuali fake news. Ma – altro corto circuito tra passato e presente – nella sua Italia del Settecento, Indro Montanelli scriveva di Federico II di Prussia: «Era talmente machiavellico che scrisse un libro contro Machiavelli per dimostrare che non lo era». Poiché proclama in continuazione di essere «allievo di Montanelli», potremmo trovare in questo precedente la spiegazione del perché il neo-presidente della Rai Marcello Foa tenga corsi e scriva libri sulle fake news e contemporaneamente sia accusato di essere un famigerato inventore di fake news in maniera seriale.

Machiavelli ci ricorda comunque che le fake news ci sono sempre state. La più antica bufala documentata è la descrizione della vittoria di Ramses II nella battaglia di Qadesh tra egizi e ittiti del 1275 a.C. Mentre il termine apparve per la prima volta sulla stampa Usa nel 1890. In molti oggi si occupano di smascherare le fake news in circolazione, ma più particolare è il caso di uno studioso che si sforza di inquadrare il fenomeno nella sua prospettiva storica. È il caso di Giuseppe Riva, ordinario di Psicologia della comunicazione e dirigente del Laboratorio di interazione comunicativa e nuove tecnologie presso la Cattolica di Milano, oltre che presidente dell’Associazione internazionale di CyberPsicologia e autore del libro Fake news (Mulino, 14 euro). Riva per esempio ha ricordato la lettera fasulla a Serse in seguito alla quale, secondo Tucidide, il re spartano Pausania venne condannato a morte; la disinformazione scatenata da Cicerone per far saltare un possibile accordo tra Antonio e Bruto; la manipolazione a opera di Stalin del testamento di Lenin.

LA DEZINFORMACIJA TARGATA KGB

A proposito di Unione sovietica, esisteva addirittura un dipartimento del Kgb specializzato nella creazione di fake news chiamato, non a caso, dipartimento D dove D staba per Dezinformacija. Alla sua guida c’era Ivan Ivanovich Agayantis. Singolare figura di generale, spia e scienziato sociale allo stesso tempo, inventò alcune operazioni clamorose che erano allo stesso tempo esperimenti. Sua, per esempio, l’Operazione svastica: alla vigilia del Natale del 1959 apparvero sui muri della sinagoga di Colonia alcune svastiche con la scritta «i tedeschi chiedono che gli ebrei se ne vadano». Nei due mesi successivi nella zona si registrarono ben 833 diverse azioni antisemite. Un’operazione del genere fu ripetuta in un piccolo villaggio a 50 km da Mosca, dove non erano mai stati segnalati episodi di razzismo. E anche lì seguirono vari casi di antisemitismo. All’inizio degli Anni 90 in un discorso all’Istituto di relazioni estere di Mosca il capo dello spionaggio russo Egvenij Primakov ammise che con un “esperimento” del genere nel 1983 si diffuse la voce che l’Aids era stata creata in laboratorio dal governo Usa attraverso un piccolo giornale indiano finanziato dal Kgb appositiamente per diffondere notizie del genere.

IL BOOM CON LA CAMPAGNA DI TRUMP

Ma è nel 2015 con la campagna elettorale di Donald Trump che il termine è dilagato, tanto che due anni dopo il Collins Dictionary lo ha eletto parola dell’anno. Riva spiega che in questo boom hanno avuto di nuovo un ruolo preponderante i Servizi russi, che nel clima di revanscismo putiniano avrebbero fatto ricorso a metodi già collaudati per rispondere al senso di accerchiamento dell’Occidente che si era fatto particolarmente acuto nella fase delle cosiddette rivoluzioni colorate nelle repubbliche ex-sovietiche. Nel frattempo però sono esplosi Internet e i social che hanno permesso alle fake news di diffondersi sei volte più rapidamente delle notizie vere, visto che hanno il 70% di probabilità in più di venire condivise anche grazie a bot e troll. «Prima dell’interrealtà, della fusione tra online e offline», scrive Riva, «i modelli sociali di riferimento si caratterizzavano per essere portatori di una serie di qualità o di competenze: sono un calciatore famoso perché sono molto bravo a giocare a calcio, sono un attore famoso perché sono molto bravo a recitare, sono una modella famosa perché sono molto bella e elegante. Nel mondo dell’interrealtà, invece, i modelli sociali di riferimento possono diventare tali anche solamente per la capacità di attrarre intorno a sé una comunità di follower. Per cui, anche se non ho capacità particolari ma quello che faccio per qualche motivo attrae un gruppo du seguaci – perché sono buffo, perché sono simpatico. Perché sono simile o opposto a loro – posso comunque essere un social influencer e diventare famoso». Il percorso, dunque, inizia con la creazione di una comunità di pratica digitale attorno a un valore comune. Per esempio, un gruppo di estrema destra. All’interno della comunità creo degli influencer che con i loro commenti diano un contenuto preliminare ai contenuti delle fake news. Poi presento le fake news come dei fatti direttamente collegati al raggiungimento dell’obiettivo comune.Per esempio, spiega ancora Riva, «dato che la comunità non avrebbe mai votato Trump per i suoi comportamenti troppo libertini, creo una fake news in cui affermo che Hillary Clinton partecipa a messe nere». Gli influencer commenteranno, i membri della comunità diffonderanno. E a qualcuno di loro potrà anche accadere di diventare presidente della Rai.

Fonte: Lettera43. Autore: Maurizio Stefania

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