Da Gramsci a Bauman: di cosa parliamo quando parliamo di populismo

Da Gramsci a Bauman: di cosa parliamo quando parliamo di populismo

Il populismo ha una storia antica e tante sfumature: mai come quest’anno anno ci sono stati convegni, citazioni, studi accademici e libri che hanno tentato di spiegarlo. Ecco qualche estratto, da Gramsci a Bauman

Un anno fa ‘populismo’ veniva scelta dal Cambridge Dictionary come parola dell’anno. Un anno dopo in Italia c’è il primo governo populista, una definizione sottoscritta e rivendicata dallo stesso premier Conte. Il populismo ha una storia antica e tante sfumature: mai come quest’anno anno ci sono stati convegni, citazioni, studi accademici e libri che hanno tentato di spiegarlo, nelle sue accezioni storiche, sociali e perfino psicologiche. Ecco qualche estratto, da Gramsci a Bauman, per capire di cosa parliamo quando parliamo di populismo.

• Popolo

“L’avvicinamento al popolo significherebbe quindi una ripresa del pensiero borghese che non vuole perdere la sua egemonia sulle classi popolari e che, per esercitare meglio questa egemonia, accoglie una parte dell’ideologia proletaria. Sarebbe un ritorno a forme «democratiche» più sostanziali del corrente «democratismo» formale.
È da vedere se anche un fenomeno di questo genere non sia molto significativo e importante storicamente e non rappresenti una fase necessaria di transizione e un episodio dell’«educazione popolare» indiretta. Una lista delle tendenze «populiste» e una analisi di ciascuna di esse sarebbe interessante: si potrebbe «scoprire» una di quelle che Vico chiama «astuzie della natura», cioè come un impulso sociale, tendente a un fine, realizzi il suo contrario”.
(Gramsci, Quaderno VI)

• Indice

“Oggi esiste un indice di populismo che tiene conto del fenomeno (Timbro Authoritarian Populism Index) e il numero di studiosi del fenomeno è in crescita: delle circa 200.000 pubblicazioni censite dal motore di ricerca Google Scholar, oltre 60.000 sono comparse dopo il 2000 – più del 30% – a conferma della recente, accresciuta attenzione al fenomeno sotto il profilo accademico”.
Paolo Graziano, Neopopulismi (il Mulino)

• Democrazia illiberale

“L’avvento della democrazia illiberale, o democrazia senza diritti, è solo un aspetto della politica dei primi decenni del Ventunesimo secolo. Questo perché, nello stesso momento in cui le persone comuni sono diventate scettiche verso le prassi e le istituzioni liberali, le élite politiche hanno cercato di isolarsi dalla loro rabbia. Il mondo è complicato, sostengono, e loro hanno lavorato sodo per trovare le risposte giuste. Se i cittadini sono così insofferenti da ignorare i saggi consigli offerti dalle élite, allora vanno educati, ignorati o costretti all’obbedienza.

La propensione dei leader populisti a offrire soluzioni così semplici che non potranno mai funzionare è molto pericolosa. Una volta al potere, le loro politiche rischiano di aggravare proprio quei problemi che avevano scatenato la rabbia popolare in origine. Sarebbe facile cedere alla tentazione di pensare che gli elettori, opportunamente ridimensionati dal caos venutosi a creare, restituiscano la fiducia ai politici dell’establishment. Ma la sofferenza aggiuntiva rende i cittadini ancora più scontrosi e irrequieti. E, come dimostra la storia di molti paesi latinoamericani, quando un populista fallisce, ci sono le stesse probabilità che gli elettori restitui- scano il potere alle vecchie élite o che si rivolgano a un altro populista, se non direttamente a un dittatore”.
Yascha Mounk, Popolo vs Democrazia (Feltrinelli)

• Purezza

“Primo fattore comune a tutti i populismi è, naturalmente, la centralità assorbente che in essi assume il riferimento al popolo, inteso nella sua dimensione «calda» di comunità vivente, quasi una sorta di entità pre-politica e pre-civile, da «stato di natura» russoviano. Un’entità organica, che dunque non ammette al suo interno distinzioni, vissute come colpevoli e deleterie divisioni. E che fonda una particolare concezione del conflitto politico: non piú la tradizionale dialettica «orizzontale» tra le diverse culture politiche in cui si articola la cittadinanza, di cui la coppia destra-sinistra è il piú pregnante esempio. Ma il confronto – anzi la contrapposizione – «verticale» del popolo tutto intero nella sua incontaminata purezza originaria e di una qualche altra entità che si pone, indebitamente, al di sopra di esso (un’élite usurpatrice, una congrega di privilegiati, un potere occulto) oppure, insinuante, al di sotto (gli immigrati, gli stranieri, le comunità nomadi…)

Il secondo fattore comune ha a che fare, in qualche modo, diretto o indiretto, con l’idea del tradimento: con un qualche abuso, una sottrazione indebita, un complotto ordito ai danni degli onesti cittadini, secondo uno stile di pensiero che rifonda il conflitto non solo in termini politici o sociali ma anche, e in primo luogo, «etici»: come contrapposizione morale tra giusti ed empi, onesti e corrotti, «nostri» e «loro»…

L’ultimo fattore comune, infine, rinvia all’immagine del rovesciamento: alla cacciata dell’oligarchia usurpatrice – la rimozione del «corpo estraneo» – e alla restaurazione di una sovranità popolare finalmente riconosciuta, da esercitare non piú attraverso la mediazione delle vecchie istituzioni rappresentative ma grazie all’azione di leader (tendenzialmente carismatici o comunque legati emotivamente alla propria «gente» attraverso meccanismi di transfert) in grado di fare «il bene del popolo». O, come si suol dire, di farsi garanti della «salute pubblica»”.
Marco Revelli, Populismo 2.0 (Einaudi)

• Élite

“I lavoratori si stanno rivoltando contro le élite e le istituzioni dominanti che li hanno puniti per una generazione. Oggi negli Stati Uniti, ad esempio, i salari reali sono inferiori rispetto a quando fu portato avanti l’assalto neoliberale a partire dalla fine degli anni ’70 – intensificandosi bruscamente sotto Reagan e Thatcher – con i prevedibili effetti sul declino del funzionamento di istituzioni formalmente democratiche. C’è stata una crescita economica e un aumento della produttività, ma la ricchezza generata è finita in pochissime tasche, per la maggior parte a istituzioni finanziarie predatorie che, nel complesso, sono dannose per l’economia. In Europa è accaduto più o meno lo stesso, in qualche modo anche peggio perché il processo decisionale su questioni importanti si è spostato sulla Troika che è un organismo non eletto. I partiti di centro-destra / centro-sinistra (democratici americani, socialdemocratici europei) si sono spostati a destra, abbandonando in gran parte gli interessi della classe lavoratrice. Ciò ha portato alla rabbia, alla frustrazione, alla paura e al capro espiatorio. Poiché le cause reali sono nascoste nell’oscurità, deve essere colpa dei poveri non meritevoli, delle minoranze etniche, degli immigrati o di altri settori vulnerabili. In tali circostanze le persone si arrampicano sugli specchi. Negli Stati Uniti molti lavoratori hanno votato per Obama, credendo nel suo messaggio di «speranza» e «cambiamento», e quando sono stati rapidamente disillusi, hanno cercato qualcos’altro. Questo è terreno fertile per demagoghi come Trump, che finge di essere la voce dei lavoratori mentre li indebolisce di volta in volta attraverso le brutali politiche anti-sindacali della sua amministrazione, che rappresenta l’ala più selvaggia del Partito Repubblicano. Non ha nulla a che fare con il «populismo», un concetto con una storia mista, spesso piuttosto rispettabile”.
Noam Chomsky, il Manifesto, 8 settembre 2018

• Rabbia

“L’élite politica, nel suo modo di pensare (e di agire) è sempre più globalizzata, perché costretta a confrontarsi con potenze e poteri indipendenti dalla politica e sempre più extraterritoriali. Si tratta di un’élite che ha altre preoccupazioni e diverso linguaggio rispetto alle angosce che attanagliano la gente che essa in teoria dovrebbe rappresentare. I vari Trump, Orbán, Boris Johnson, Kaczynski o Le Pen (è un elenco che cresce ogni giorno) hanno il vantaggio di dire pane al pane. E sanno quanto sia facile appellarsi alle emozioni. Basta descrivere la realtà adattando il modo di raccontare agli orizzonti mentali dei propri ascoltatori; usare lo stesso idioma che utilizzano i commensali al pub quando dopo un paio di boccali di birra condividono i sentimenti di rabbia e di odio nei confronti dei presunti colpevoli delle proprie angosce”.
Zygmunt Bauman, L’Espresso, 4 luglio 2016

Oltre agli autori citati (se non ne avete avuto abbastanza…) consigliamo questi libri: ‘Populismo’ di Anselmi (Mondadori universita’); ‘Che cos’è il populismo’ di Müller (Bocconi); ‘Populismo sovrano’ di Feltri (Einaudi); ‘Filosofie del populismo’ di Merker  e ‘La Ragione populista’ di Laclau (Laterza); ‘Italia populista’ di Tarchi (Il Mulino); ‘Populismo digitale’ di Dal Lago (Raffaello Cortina)

Fonte: La Repubblica.

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