COSA POSSONO FARE DAVVERO I LOBBISTI

COSA POSSONO FARE DAVVERO I LOBBISTI

Solo i rappresentanti eletti dal popolo hanno il potere di accogliere o respingere proposte o provvedimenti legislativi, e nessun altro. Saranno i rappresentanti eletti, non i lobbisti, ad essere giudicati dal popolo alla fine del loro mandato sulla base delle buone o delle cattive decisioni che hanno preso.

A ben vedere, se non esistesse il lobbying, con tutto quello che le azioni di “informazione e persuasione” rivolte al sistema dei decisori pubblici portano con sé, non esisterebbe nemmeno la democrazia rappresentativa per come la conosciamo, che comunque vogliamo girarla resta sempre la migliore forma di organizzazione politica dello Stato (o la meno peggio, a seconda dei punti di vista) che l’umanità è riuscita a darsi. Continuo a dissentire che lobbying sia persuasione, e insisto, in maniera al limite della testardaggine, che lobbying sia rappresentare una posizione . E l’essenzialità del lobbying sta proprio in quella parola, “rappresentanza”, attorno alla quale ruota non solo il principio di fondo, ma anche il concretissimo esercizio quotidiano dei processi democratici. In altre parole, se la società è il luogo degli interessi, molteplici e a volte anche contrapposti, e le Istituzioni sono invece i luoghi della decisione pubblica investiti del ruolo di rispondere alle istanze che provengono dalla società, i soggetti che raccolgono questi interessi e li rappresentano ai decisori (e cioè i lobbisti) sono almeno uno degli ingranaggi di quel processo che, passando attraverso la mediazione tra spinte e bisogni diversi tra loro, produce decisioni in grado di incidere sulle vite di ciascuno. Per dirla con maggiore enfasi: dare voce ai bisogni delle persone, aziende, organizzazioni in modo da contribuire alle azioni di governo. In fondo, il lobbying non è altro che questo. Questo è un buon inizio per capire. Ma a voler dare una interpretazione così estesa del lobbying si corre il rischio di finire con il dire che se tutto è lobbying, nulla finisce per essere lobbying. Come ad esempio la grande campagna per la moratoria universale della pena di morte, che nel 2007 portò l’Assemblea Generale dell’ONU a votare per l’abolizione della pena capitale. Questa non è attività di lobbying. O come i residenti di un quartiere periferico costretti a vivere in una condizione di degrado, che si uniscono per ottenere risposte dall’amministrazione comunale. Questa non è attività di lobbying. Non basta organizzare un’azione che ha come fine ultimo quello di informare i decisori di un problema importante, e di spingerli ad agire. Quindi ne vorrei indicare un elemento caratterizzante: lobbying è rappresentare alle Istituzioni il proprio punto di vista, le proprie proposte, ogniqualvolta si riscontrino criticità che abbiano cause (e quindi soluzioni) di natura normativa. Di più: il lobbying è una forma di partecipazione che permette di realizzare un’interazione continua con le Istituzioni, e non soltanto periodica, limitata cioè alle tornate elettorali o referendarie. Il risultato concreto è quello di dare maggiore legittimità ad ogni processo politico, come sostiene il professor Theodoros Koutroubas, che PRIMOPIANOSCALAc ha intervistato per il numero di Ottobre. Docente di Scienze Politiche a Lovanio, ricercatore e autore di diverse pubblicazioni sulla rappresentanza degli interessi e la democrazia partecipativa, ma soprattutto lobbista: è infatti direttore generale del CEPLIS, organizzazione europea che rappresenta le istanze dei liberi professionisti. Insomma, Koutroubas unisce la teoria dell’insegnamento e della ricerca accademica con la pratica della rappresentanza degli interessi e l’azione sui decisori pubblici per dare un contributo ai processi decisionali in materia. Chi meglio di lui dunque per rispondere alla domanda su cosa sia (davvero) il lobbying. La risposta, per certi versi sorprendente, è che il lobbying è prima di tutto un diritto. E a pensarci bene, non può essere che questo, il diritto dei cittadini, di ogni ordine e grado, di portare le proprie istanze dentro i luoghi dove si prendono le decisioni che valgono per tutti. Il diritto di contribuire.

Di seguito riportiamo l’intervista curata e pubblicata da Telos a Theodoros Koutroubas professore di Scienze Politiche della Facoltà di Scienze Economiche, Politiche e Sociali e Comunicazione dell’Università Cattolica di Lovanio (UCLouvain), in Belgio, e Direttore Generale e Senior Policy Advisor del Consiglio Europeo delle Libere Professioni (CEPLIS)

  • Come definirebbe il lobbying?

Theodoros Koutroubas: La parola lobbying deriva, probabilmente, dal termine inglese “lobby” che indica l’atrio del Parlamento inglese dove le persone, provenienti da ogni parte del Regno Unito, incontravano i propri parlamentari per informarli su questioni di rilievo dei loro collegi elettorali, per le quali sarebbe stato necessario l’intervento del Parlamento e del Governo centrale. Nel contesto attuale delle democrazie partecipative, il cittadino non è il soggetto silenzioso di una nuova monarchia elettiva, che si limita a garantirgli il diritto di decidere sull’indirizzo politico della nazione solo nelle occasioni formali di rinnovo del mandato “regale”, una volta ogni 4 o 5 anni. Tutt’altro.
Le nostre leggi consentono ai cittadini di associarsi: a) per cause che ritengono meritevoli di sostenere, b) per la valorizzazione e sviluppo della professione che esercitano, o c) per diverse altre questioni relative alla propria vita quotidiana. Naturalmente, l’obiettivo di queste associazioni è informare i rappresentanti eletti dal popolo delle proprie ragioni costitutive e convincerli ad agire in loro favore.
È importante chiarire subito che il potere di prendere le decisioni, nel nostro sistema, rimane totalmente nelle mani dei rappresentanti eletti, ai quali – dopo aver ascoltato tutte le argomentazioni e raccolto sufficienti informazioni da ognuna delle parti – spetta sempre l’ultima parola. Le imprese, ed il settore industriale in genere, rappresentano stakeholder naturali per tutti i progetti legislativi e ogni altra decisione del Governo che potrebbe influire, direttamente o indirettamente, sulle loro attività.
Hanno quindi il diritto di essere ascoltati dal legislatore eletto e dagli uffici competenti della Pubblica Amministrazione.
É quasi scontato ricordare come “informare” e “provare a convincere” possano essere utilizzati come sinonimi di “influenzare”. Una parola spesso demonizzata, che col tempo è diventata a sua volta sinonimo di “corrompere”. Ma si tratta di una concezione completamente sbagliata. La corruzione è ed è sempre stata un comportamento esecrabile, sia per il corruttore che per il corrotto, ed è punibile dalla legge in quasi tutti i Paesi del mondo e da quasi tutti i regimi politici. La maggior parte di coloro che lavorano nel campo della rappresentanza di interessi sarebbe d’accordo che tutte le misure possibili, compresa una legislazione ancora più rigorosa, debbano essere prese per eliminare questo fenomeno.
Possiamo quindi definire il lobbying come il legittimo, essenziale ed inalienabile diritto dei cittadini ad associarsi per promuovere obiettivi, idee o interessi professionali condivisi, e per interagire con i loro rappresentanti eletti e con la pubblica amministrazione per la promozione di questi interessi. Quando interagiscono con i politici eletti e con la Pubblica Amministrazione per rappresentare le proprie istanze, i cittadini hanno il diritto di utilizzare ogni strumento legale a loro disposizione, inclusi scioperi o pacifiche manifestazioni di piazza.

  • Rispondendo ad un giornalista che le chiedeva se avrebbe incontrato Barroso, ex presidente della Commissione Europea oggi consulente di Goldman Sachs, Margrethe Vestager ha risposto: “Fin dalla primissima settimana del mio mandato ho preso la decisione di non incontrare i lobbisti”. Come valuta questa affermazione?

Non era la prima volta che la Commissaria Vestager si esprimeva contro i lobbisti. Lo scorso anno ha dichiarato di aver deciso ormai da molto tempo di non incontrarne perché “ha bisogno di confrontarsi con chi decide davvero, e tra questi non ci sono i lobbisti”.
A quel tempo avevo pubblicato un articolo su ‘La Libre’, giornale belga di lingua francese, dove sostenevo che il dialogo tra chi governa e chi desidera dare un contributo alle decisioni pubbliche è una componente essenziale delle nostre democrazie, perché la partecipazione dei lobbisti ai processi decisionali consente sia ai legislatori eletti sia alla burocrazia di fare le proprie scelte in modo pienamente informato, e al contempo rafforza la legittimità dell’intero sistema politico. Sono convinto che chiudere le porte del sistema decisionale ai rappresentanti di interessi legittimi ci riporterebbe indietro nel tempo, a quello dei politici onnipotenti che durante il loro mandato si comportavano come monarchi assoluti.
Certo, il ‘caso Barroso’ ha danneggiato molto la credibilità della Commissione e di conseguenza dell’Unione Europea. Personalmente, trovo che la Commissione abbia gestito la questione in maniera del tutto inopportuna. Invece di sottolineare come la decisione del suo ex presidente fosse sbagliatissima sotto il profilo etico, ancorché perfettamente legale, ha preferito attenersi alla lettera della legge. Non è la prima volta che la comunicazione della Commissione peggiora le cose… sfortunatamente, quando si tratta di accrescere il numero di cittadini euroscettici, la Commissione sembra essere più efficiente persino di quelli che lavorano per le diverse “exit”.

  • Il lobbying è solo una questione di trasparenza, o c’è di più?

Nella rappresentanza degli interessi la trasparenza è ovviamente molto importante. Il detto che la moglie di Cesare deve non solo essere onesta, ma anche sembrare onesta, calza perfettamente.
Ma il lobbying non è solo trasparenza, è condivisione delle informazioni, capacità di negoziazione, legittima rappresentanza, il credere fortemente in una causa. I lobbisti, che siano professionisti o volontari, rappresentano coloro che li hanno incaricati di portare il proprio punto di vista all’attenzione dei decisori pubblici, con l’obiettivo di convincerli della sua validità. Devono combinare le competenze di un pedagogo con quelle di un esperto di politica e devono credere nella causa che rappresentano.
Si dice o si scrive spesso che il lobbying sia una faccenda di soldi: chi ne ha di più è in grado di organizzare campagne di persuasione più efficaci, assumere i migliori professionisti, e quindi di conquistare alla propria causa la politica e l’opinione pubblica.
A volte può essere così, ma non è affatto la regola. Ricordiamoci a che punto era il riconoscimento dei diritti di gay e lesbiche vent’anni fa. Nella maggior parte dei Paesi occidentali l’omosessualità era considerata ancora un crimine o una malattia mentale. I gruppi che facevano lobbying per la causa dei diritti degli omosessuali avevano certamente molto meno denaro – ed erano assai meno accettati dalla società – della Chiesa e delle organizzazioni religiose conservatrici. Che invece hanno perso la battaglia.
E non dimentichiamoci della questione del tabacco! Trent’anni fa in Europa fumavano tutti, proibire il fumo nei luoghi pubblici era impensabile, e le aziende produttrici di tabacco erano molto più potenti e ricche dei pochi lobbisti anti-tabacco, al tempo considerati “fanatici della salute”. Oggi questa è invece un’altra battaglia persa dai Golia del nostro tempo.

  • “È tutta colpa delle lobby”. Regolare il lobbying è uno dei mantra del dibattito politico italiano. Ma gli unici risultati di questi sforzi sono stati solo alcuni “registri delle lobby“, per altro piuttosto deludenti. In più, la politica cerca di guardare come questa attività sia regolamentata in altri Paesi e nell’Unione Europea, senza però considerare che il processo decisionale, e la possibilità di avervi accesso, differisce in modo radicale da un Paese all’altro. Cosa consiglierebbe ad un legislatore italiano come valido approccio per elaborare una regolamentazione adeguata?

Ci sono associazioni italiane che conducono attività di lobbying trasparenti e di grande successo, sia a livello nazionale che europeo; un esempio è Confprofessioni, l’ente che rappresenta le libere professioni che basano il loro esercizio sul rispetto di un codice etico.
Il loro modo di lavorare potrebbe ispirare altri soggetti, e forse un buon modo di procedere potrebbe essere avviare con la società civile organizzata e il mondo delle imprese un dialogo formale e orientato a raggiungere obiettivi concreti (magari attraverso il CNEL?). La registrazione è una buona pratica, una lista ufficiale di associazioni e imprese che desiderano interagire con il Parlamento, il Governo e la Pubblica Amministrazione è anzi necessaria, ma non risolve tutti i problemi.
Il legislatore italiano dovrebbe ispirarsi soprattutto alla realtà italiana, quando intende regolamentare la rappresentanza di interessi. Questo non significa che studiare esempi di buone pratiche dall’estero sia sbagliato, ma copiare leggi straniere senza prendere in considerazione la realtà sul campo è un errore, e non funziona.
E per quanto riguarda il luogo comune per cui “è tutta colpa delle lobby“: solo i rappresentanti eletti dal popolo hanno il potere di accogliere o respingere proposte o provvedimenti legislativi, e nessun altro. Saranno i rappresentanti eletti, non i lobbisti, ad essere giudicati dal popolo alla fine del loro mandato sulla base delle buone o delle cattive decisioni che hanno preso.

Fonte: Telos. Autori: Mariella Palazzolo, Marco Sonsini

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