Le due rose del centro-sinistra…

Le due rose del centro-sinistra…

Lo dico e lo ridico: se volete capire il presente leggete libri di Storia, ma non storia di ieri, storia dell’altro ieri o ancora più indietro. Ad esempio passare l’estate alle prese con 4 libri sulla Guerra delle Due Rose mi ha consentito di capire meglio la crisi del centrosinistra italiano e il ruolo di ogni singolo personaggio.

All’origine c’è un re legittimo, il capo della Rosa Rossa: Enrico VI di Lancaster. E’ una brava persona, come tutti riconoscono. Riflessivo, pacato, molto pio, profondamente studioso. Ma è inerte, debole, al momento di affondare la lama si tira indietro, sembra più adatto a fare il monaco che il re e questa sua indecisione porta a perdere guerre già vinte, genera scontento nella sua Casa e favorisce il sorgere di una fazione diversa, più giovane e più volitiva. Enrico VI è Pierluigi Bersani.

A fianco di re Enrico vi sono due figure chiave. Innanzitutto la moglie, Margherita d’Angiò, costretta a un matrimonio d’interesse con un uomo che più di tanto non ama e non stima, profondamente decisa, caparbia, scaltra, amante del potere e dell’intrigo, costantemente intenta a complottare per l’affermazione dei Lancaster, grazie alla quale si affermerà lei stessa, pronta a governare il regno da dietro una tenda. Margherita d’Angiò è Massimo D’Alema (le iniziali sono pure le stesse…). E infine l’erede, dipinto come compendio di ogni virtù, ma in realtà debole, incerto e poco carismatico, Edoardo di Lancaster era un bravo giovine ma poco di più, un buon principe di Galles per tempi normali, ma l’Inghilterra di fine XV secolo non era un posto “normale”. E beh, l’onesto, giovane e un po’ insapore Edoardo è Roberto Speranza.

Veniamo alla fazione opposta, gli York, le Rose Bianche. Di fronte al progressivo indebolirsi del regno di Enrico VI si erge la ribellione di Edoardo di York. Edoardo è giovane, coraggioso, deciso, volitivo, ambizioso e tenace, al punto da rovesciare il trono e insediarvisi lui stesso, diventando Edoardo IV. Però le doti di Edoardo sono più adatte a conquistare un trono che a conservarlo: assunto il potere si vendica dei nobili che non lo hanno sostenuto fin dal principio, privandoli dei titoli per donarli ai suoi sostenitori: vecchie casate cadono nella polvere sostituite da giovanotti ambiziosi di incerto passato, rispettabili dignitari vengono accompagnati alla porta in modo brusco e i loro incarichi distribuiti a personaggi di nulla competenza, ma cari al re per aver cacciato con lui in gioventù o per averne condiviso le notti in qualche casa compiacente. Non serve molta fantasia per capire che Edoardo IV è Matteo Renzi.

Edoardo all’inizio gode di grande popolarità: è giovane, spavaldo, presente ovunque, tutt’altra aria rispetto al sonnacchioso regno di Enrico VI. Però alla lunga lo scontento riprende a serpeggiare – abilmente fomentato dai partigiani dei Lancaster – i benefici del nuovo regime non si vedono malgrado le promesse della “luminosa estate” che ha sostituito “l’inverno dello scontento”, grazie ovviamente al Sole degli York. Particolarmente detestata è la consorte del sovrano, Elisabetta Woodville. E’ una donna giovane e bella, di incerti natali, ambiziosissima, poco interessata alle sorti del Regno e con un codazzo di parenti (il padre, i fratelli…) da sistemare in ruoli di potere e di alto reddito. Ed è lei che instilla i consigli peggiori nelle orecchie di Edoardo, il quale non sa negarle nulla. E questo suo continuo accondiscendere rafforza lei, ma indebolisce lui. Elisabetta la facciamo interpretare a Maria Elena Boschi, mi pare calzi…

Maestosa e complessa nella sua drammatica contraddittorietà è la figura di Riccardo Neville, conte di Warwick, il “King Maker”. Tiepido sostenitore dei Lancaster spostatosi sul versante York, convince Edoardo a usurpare il trono e ne diventa il punto di riferimento; è il nobile con più oro, più castelli e più soldati ed è convinto di poter governare per interposta persona. Ma le cose non vanno così: progressivamente i rapporti tra il re e Warwick si raffreddano e nel mezzo la regina che soffia sul fuoco per rimanere la sola capace di controllare il re. Allora Warwick decide di fare un “ribaltone”, rovesciando Enrico e cercando di promuovere l’avvento al trono di una figura insapore e inoffensiva come il fratello del re, Giorgio di Clarence (Paolo Gentiloni) ma – quando si capisce che neppure questo è sufficiente a placare la smania di potere e di rivalsa di Edoardo e del suo clan di favoriti – scarica Clarence e rompe definitivamente per ritornare tra le braccia dei Lancaster, stringere un accordo con Margherita che alla fine lo porterà alla sconfitta e alla tomba. Chi è che insedia e ribalta i sovrani? Per certi versi Dario Franceschini, al quale auguriamo – ovviamente – un destino migliore del povero Warwick, il “quasi re” mai incoronato.

Poi le figure minori. Il duca di Buckingham, che prima sceglie la causa degli York aiutando Riccardo di Gloucester a usurpare il potere dopo la morte del di lui fratello Edoardo, per poi ritrarsi disgustato davanti al dramma dei principi bambini nella Torre, legittimi successori al trono, assassinati nel corso della violentissima lotta per il potere che si scatenò in seno alla fazione York alla fine del regno di Edoardo. Si ribella, ma è tardi, la sua credibilità è debole anche sul versante Lancaster, cerca una sorta di rivalsa solitaria e mal gestita che finisce con la sua testa su una picca. E’ Andrea Orlando, lo yorkista buono, il ribelle tardivo.

E poi Lord Stanley, conte di Derby. Nobile importante e prestigioso, era incerto su quale causa favorire, sposò una nobildonna del clan Lancaster, ma andava a caccia con Edoardo di York e poi con il fratello Riccardo. Preparava complotti in favore della vecchia dinastia, ma ne rivelava i contorni (pur non i dettagli) alla nuova. Insomma, oscillava tra l’uno e l’altro sempre incerto, non si sa se per carattere, per scaltrezza, per cinismo o per intimo turbamento. Fatto sta che – alla fine – di lui si trovarono a diffidare sia i Lancaster che gli York. E’ Giuliano Pisapia, eternamente indeciso, potente quanto basta per volerlo dalla propria parte, ma che in fondo nessuno sente veramente come proprio.

Alla fine la mole di errori compiuta dagli York portò la fazione Lancaster – o meglio, il poco che ne restava – a prevalere. Ma i “vecchi” o erano morti, oppure emarginati. Emerse un giovane principe con un po’ di sangue Lancaster nelle vene. Un uomo che combatteva solo se non c’erano altre strade, che alla violenza della lotta preferiva la ragionevolezza dell’analisi politica sembrando così forse meno deciso, meno volitivo, ma capace alla fine di salire sul trono e di restarci, tenendo assieme un po’ dell’antica tradizione con la conoscenza e le idee dell’epoca che stava per affermarsi. Nessuno gli diede credito per lungo tempo: troppo debole militarmente, con pochi uomini e poche risorse, troppo indietro nella linea di successione. ma – alla fine – riuscì a prevalere, contro ogni pronostico: per certi versi un connubio tra passato e futuro, un sovrano capace di traghettare l’Inghilterra della tarda età feudale in quella nuova del Rinascimento in arrivo.

Enrico Tudor, alias Enrico VII. Nella mia ricostruzione oziosa e post-prandiale non trova una figura in grado di incarnarlo. Radici nel passato, ma capacità di leggere il futuro. Razionale e ragionevole, ma saldo quando serve, sulle questioni di fondo. Ci servirebbe un Enrico Tudor, ma non se ne vedono in giro. Mi piacerebbe fosse Giuseppe Civati, almeno sappiamo che lui il Rinascimento lo conosce.

Autore: Marco Cucchini (C)

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