Germania, la parabola discendente di Schulz

Germania, la parabola discendente di Schulz

No way, non c’è partita. Il giochi per le Legislative tedesche del 24 settembre 2017 si sono chiusi a in favore di Angela Merkel a poco più di un mese dal folgorante debutto dello sfidante, il socialdemocratico (Spd) Martin Schulz, a segretario di partito, candidato cancelliere e prima di tutto mattatore della politica di Palazzo tedesca, giacché lo storico ex capo dell’europarlamento sui temi nazionali interni non si era mai espresso, tanto meno se ne era occupato. Sembrava promettente l’astro nascente di Schulz: un’investitura a capo dell’Spd col 100% degna di Marx, sondaggi in repentina risalita come il record delle migliaia di iscritti al partito del 2017, folle in visibilio ai primi comizi e alle sue apparizioni tra la gente comune.

SPD, BATOSTE NEI LAND. Le impreviste batoste regionali dell’Spd in tre Land (Saarland, Schleswig-Holstein e il colpo di grazia in Nord Reno-Vestfalia, Land più popoloso e roccaforte socialdemocratica, nonché terra natale di Schulz ancora sua dimora) della primavera hanno squarciato un velo sulla disaffezione della gente – a dispetto della simpatia e delle migliori intenzioni di Schulz – verso la classe dirigente delle Amministrazioni rosse in Germania. A sorpresa si è sgonfiato di botto anche l’effetto novità del cancelliere-operaio: l’immagine di Schuz futuro capo del governo al servizio dei dei giovani e per il recupero del welfare e dei diritti del lavoro degli Anni 70, l’anti-Schröder picconatore dell’Agenda 2010 delle liberalizzazioni, non ha retto allo sguardo critico dei tedeschi.

Angela Merkel

Non mollare il certo per l’incerto, specie quando l’incerto è un umorale come Schulz, sembra la convinzione maturata dall’elettore medio, risparmiatore e previdente, anche di sinistra. E a guadagnarci, con lungimiranza, è sempre l’intramontabile Merkel: saldamente in testa al 44% dei gradimenti senza aver mosso un dito, nella campagna elettorale più noiosa di sempre, con Schulz precipitato al 29%. Certo non ha giovato al leader socialdemocratico la doccia fredda delle amministrative che, nelle previsioni, avrebbero dovuto lanciarlo nell’empireo. Dal trionfo dei cristiano-democratici (Cdu) di Merkel in Nord Reno-Vestfalia (balzati al 34,5% davanti all’Spd crollato di 9 punti al 30,5%) Schulz non è stato più lo stesso.

ASCESA E CADUTA. Per più di 20 anni europarlamentare a Strasburgo, il frontrunner di Merkel è passato dalla rimonta strabiliante dell’inverno alla strabiliante caduta estiva. Gli ultimi sondaggi di luglio di istituti nazionali come Insa e Allensbach danno i socialdemocratici al 25%, staccati di almeno 12,5 punti percentuali dall’Unione della Cdu-Csu (i cristiano-democratici bavaresi) della cancelliera tra il 37,5 e il 39,5%: un abisso. Schulz si dà da fare, ha organizzato un intenso tour estivo di propaganda, messo la cancelliera sull’allerta per «una nuova ondata di migranti», presentato un programma di 10 punti per la digitalizzazione e il rilancio degli investimenti nel Paese: una sorta di piano Marshall tedesco 3.0, che promette pensioni più sostanziose e meno precariato, anche nelle scuole.

Se per Schulz non ci sono mezze misure, Merkel è la via di mezzo, una prospettiva solida

Il problema è che in fondo al cuore non ci crede più nemmeno Schulz in una vittoria, recuperare la spinta per il suo fuoco oratorio è dura: l’entusiasmo contagioso attorno è scomparso, il clima è disilluso. O ravveduto, come dopo una sbornia o una cotta: perché se per Schulz, lo dimostra il suo curriculum vitae, non ci sono mezze misure, Merkel è la via di mezzo, una prospettiva solida. L’asse portante della sua campagna elettorale sottotono è il piano per l’Africa lanciato dalla sua ultima Grande coalizione, una prova di leadership:300 milioni di euro in programmi di formazione professionale e occupazione in cambio dell’apertura degli Stati agli investimenti privati anche stranieri e – si afferma – dell’impegno a rispettare i diritti umani e nella lotta alla corruzione.

Aiutarli a casa loro, purché facciano i buoni, facendo affari con imprese tedesche è il pragmatismo della cancelliera: non un idealista come Schulz, che promette più giustizia sociale e che le rinfaccia un opportunismo macchiavellico nella sfida per l’accoglienza dei profughi, altro che genuina solidarietà. Un piano approvato però dai socialdemocratici al governo con la Cdu-Csu nel Merkel ter. Schulz sembra sincero, ma nel luglio 2015, alla vigilia dell’ondata di migranti dai Balcani, da capo dell’europarlamento all’ennesima crisi greca era tra i più convinti, con Merkel, del trattamento riservato al premier ellenico Alexis Tsipras. Nessuna mano tesa ad Atene, la Grecia nell’indigenza doveva assoggettarsi a regole capestro, di ulteriori tagli al sociale.

UN MALE DELLA SINISTRA. Queste contraddizioni pesano sulla corsa di Schulz, che ha atteso a lungo prima di esprimersi sui migranti ha atteso, attaccando Merkel senza presentare un piano alternativo concreto. Il leader socialdemocratico poi non convince i più anche per demeriti non suoi: il suo programma vago sui tempi e modi d’intervento riflette l’Spd, che riflette la sinistra europea. Manca di una linea definita e stabile, di un centro di gravità: anche i padri tedeschi della socialdemocrazia sono da decenni divisi in correnti e faide interne. Per scegliere Schulz come candidato, dopo la rinuncia del vice cancelliere Sigmar Gabriel dell’ala moderata, ci sono stati mesi di dibattiti nella dirigenza. Nessuno voleva immolarsi, troppi big avevano già perso contro Merkel.

La verità è poi che i tedeschi stanno ancora troppo bene per cedere anche al populismo buono del «più soldi a tutti» di Schulz: con Merkel in sella dal 2005 la Germania è cresciuta, mediamente c’è più benessere, di tanto in tanto la cancelliera fa anche concessioni sul sociale. Pochi tedeschi avrebbero votato la Brexit, men che meno Donald Trump: da uno studio recente della Fondazione Bertelsmann sul populismo è emerso che la grande maggioranza della popolazione nazionale non ce l’ha con le élite al potere. Un miraggio, ad altre latitudini, ma i tedeschi si fidano ancora della loro classe dirigente: persino gran parte dei populisti soft è critica sull’Ue ma non vuole davvero la fine dell’euro.

EGUAGLIARE KOHL. Superato lo choc per l’arrivo di quasi 1 milione di richiedenti asilo, gli euroscettici di Alternative für Deutschland (Afd) si sono sciolti come neve al sole ancora più di Shulz: quarto partito dopo Cdu-Csu, Spd e sinistra radicale della Linke al 10,5%, nelle ultime rilevazioni sono indicati al 9% dal 12%-15% delle regionali, i liberali dell’Fpd li incalzano in risalita all’8,5%. Con loro la cancelliera può, in linea di massima, formare una maggioranza di governo con più del 48% dei voti. Socialdemocratici, Linke e Verdi (6,5%) invece, anche tutti insieme in un’improbabile reunion, non supererebbero il 42%: Merkel si avvia verso i 16 anni di cancellierato di Helmut Kohl, Schulz per i tedeschi è stata una ventata di colore e di ossigeno, prima di tornare al lavoro.

Fonte: lettera43.it

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