La decadenza dell’Oratoria

La decadenza dell’Oratoria

Ieri Assemblea Nazionale del Partito Democratico. Dopo 8 ore di dibattito, cosa è rimasto impresso nella mente e nei cuori? Probabilmente due interventi, diametralmente opposti ma parimenti capaci di entrare nel cuore di chi ascoltava, fosse all’Hotel Parco dei Principi o davanti al teleschermo: quello “tribunizio” di Teresa Bellanova e quello “alto” di Walter Veltroni.

Maccari-Cicero

Certo, ci sono stati altri interventi buoni, alcuni molto buoni. Matteo Renzi ad esempio, al netto di qualche scortesia gratuita qua e là, è stato assai efficace, con il bel riferimento alla Linea d’Ombra di Conrad e soprattutto con un discorso più asciutto, meno bolso e contraddittorio di quello fatto in Direzione appena pochi giorni prima. Guglielmo Epifani con il suo stile da sindacalista asciutto, che elenca tignoso i punti di dissenso, fa la somma e proclama lo sciopero. Walter Tocci o Gianni Cuperlo, colti ed eleganti come sempre. Andrea Orlando, dialogante e razionale.

Però Teresa Bellanova e Walter Veltroni hanno fatto di più. Hanno sfondato e l’applausometro nel catino rancoroso è stato chiaro, oltre ogni dubbio. Teresa Bellanova è una sindacalista del settore agricolo. Una donna semplice, perbene, che i casi della vita hanno portato alla carica di Viceministro allo Sviluppo Economico. Che ha rivendicato con forza, con rabbia la sua azione di governo, il suo impegno in difesa dei ceti più deboli, la sua coerenza di una vita. Non ho gli strumenti per dire se tutto questo corrisponda effettivamente al vero, ma per certi versi è un problema secondario: appariva vero, si percepiva la passione, l’orgoglio e l’incazzatura e questo è sufficiente, perché nella comunicazione politica non conta tanto quello che è reale (almeno non nel breve periodo), ma quello che appare esserlo.

Poi Walter Veltroni, che non parlava da molto tempo in una assemblea politica di quel peso. Un discorso totalmente diverso da quello della Bellanova, ma parimenti efficace. Il discorso del “Fondatore”, che rivendica le scelte fatte nel 2007, che parla di futuro, che distribuisce in modo equo le responsabilità (con parecchie stoccate al Segretario e al suo stile di leadership, che la platea non ha notato o preferito fingere di non notare…). Veltroni non si è presentato a Parco dei Principi per “difendere Renzi” (solo i renziani più ingenui paiono crederlo), ma per rivendicare 20 anni di percorso politico coerente. E lo ha fatto con un discorso di Politica Alta, capace di collegare tra loro aspetti diversi e tenerli assieme. Quadro internazionale e quadro interno. Valori e politiche concrete. Passato e Futuro.

Ma il discorso della sindacalista cuperliana e del Fondatore Rottamato sono la fotografia di un fallimento comunicativo: quello della nuova classe dirigente renziana (tolto Renzi, come dicevamo), incapace di toni alti nei momenti che servono. E’ una classe dirigente più a suo agio con i tweet che con i ragionamenti complessi. Una classe dirigente che forse legge poco e ha studiato poco e si rifugia in slogan semplici e ripetitivi, che trova più confortevole ripetere la frase del Capo piuttosto che crearne una propria, anche perché spesso – quando ci prova – rischia il micidiale autogol, come il “#Ciaone” di Ernesto Carbone assurto a simbolo dell’arroganza e della vuotezza di una intera classe dirigente.

Eppure, per chi fa Politica, saper parlare in pubblico è necessario. Ci vuole intonazione, senso delle pause, capacità di gestire emozioni o cognizioni. Bisogna saper proporre citazioni raffinate e avere la giusta intelligenza nello spiegarle. Insomma bisogna impegnarsi. Ora – a scissione consumata – quella classe dirigente dovrà dimostrare di essere capace di comunicare valori e passioni. Non possono sperare sempre in un Veltroni redivivo o in una Bellanova incandescente per salvare la giornata. Devono iniziare a spegnere smartphone e ipad e iniziare a leggere. A studiare. A creare pensiero complesso. Per loro e per noi tutti.

Marco Cucchini | Poli@rchia (c)

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