Dalla marcia di Washington a una nuova generazione di dirigenti democratiche

Dalla marcia di Washington a una nuova generazione di dirigenti democratiche

Il giorno dopo la grande marcia delle donne, l’interpretazione e il seguito da dare a questo evento investe il futuro dell’opposizione, le strategie dei democratici per preparare la rivincita su Donald Trump, e rendere il più breve e improduttivo possibile il suo governo. Trump ha reagito alla grande manifestazione con una battuta che coglie nel segno e come tale già contiene un’indicazione per la sinistra. “Perché non hanno votato?” – ha twittato lui stamattina. In effetti l’8 novembre la maggioranza delle donne (bianche) ha votato per lui, non per Hillary. Con margini molto alti in favore di Trump fra le donne bianche delle fasce socio-economiche più disagiate: lo spostamento a destra della classe operaia non ha conosciuto differenze di sesso, è proprio in quella categoria che c’è più lavoro da fare per i democratici.

Ma la manifestazione di Washington è servita a dare visibilità a una nuova generazione di dirigenti democratiche, come le senatrici Kirsten Gillibrand di New York e Kamala Harris della California: una galleria di candidate alla successione di Hillary, prima alla guida del partito e poi per la prossima corsa alla Casa Bianca. Donne relativamente giovani – almeno rispetto alla generazione dei Trump, Hillary Clinton, Bernie Sanders – e anche nomi “freschi” che rappresenterebbero un vero ricambio (molta cautela invece va adottata quando circolano retroscena che invocano la scesa in campo di Michelle Obama: i democratici devono stare attenti a non ripetere gli errori sulle “dinastie ereditarie” che hanno contribuito al discredito di Hillary; mentre The Donald può anche permettersi di allevare Ivanka come futura ereditiera di una sua “monarchia”, la sinistra viene giudicata con criteri diversi).

Fu proprio con una grande manifestazione del popolo di destra nella capitale federale, qui a Washington, che appena un anno dopo la prima vittoria di Obama nacque il Tea Party Movement: e iniziò a preparare la riscossa dei repubblicani. Ma di un partito repubblicano trasformato in profondità rispetto a quello della famiglia Bush. E’ un precedente importante a cui molti guardano oggi: cosa può imparare la sinistra dall’operazione Tea Party, che alla lunga spianò la strada a Trump? (E che si rivelò ben più ampio, durevole ed efficace del suo gemello di sinistra, Occupy Wall Street).

Del Tea Party Movement bisogna ricordare un tratto distintivo: lanciò subito un’offensiva su due fronti. Da una parte dichiarò una guerra implacabile a Barack Obama e a tutte le sue riforme, cominciando dalla sua cosiddetta sanità “socialista”. Dall’altra però si mise a contrastare tutti i moderati in seno al partito repubblicano, andò alla conquista di ogni seggio vacante nelle più sperdute elezioni locali, mobilitò la base in ciascuna primaria per eliminare sistematicamente i repubblicani concilianti e disponibili a intese bipartisan col “nemico”. La prima grande avanzata la realizzò alle elezioni del mid-term nel novembre 2010, interrompendo così dopo un solo biennio la stagione delle riforme di Obama, che da quel momento in poi non ebbe mai più una maggioranza democratica nei due rami del Congresso. Non c’è da stupirsi se oggi i democratici sentano il bisogno di studiarsi il Tea Party molto da vicino.

Fonte: Repubblica.it

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