Lobby e tecnologia, come cambia il lavoro del lobbista 2.0

Lobby e tecnologia, come cambia il lavoro del lobbista 2.0

Negli Stati Uniti esistono già due app disponibili su Apple Store, ma l’Italia non sta a guardare: pronta al lancio Policy Brain, che utilizza gli open data e l’analisi del linguaggio per “mappare” i politici.

Florida Lobbyist Directory e Lobbyists.info sono due esperienze americane da cui forse non siamo poi così lontani. Sono app create da lobbisti per lobbisti e raccolgono indirizzi, contatti email, numeri di telefono e nominativi di chi ha un ruolo chiave nelle amministrazioni: un modo chiaro e trasparente per mettere in contatto, attraverso la tecnologia, i funzionari pubblici con chi agisce a tutela di gruppi d’interesse particolare.

Le lobby, si sa, sono appannaggio della cultura anglosassone. Da noi la figura del lobbista è ancora avvolta in una nebulosa dai contorni poco chiari, in cui la cura di interessi particolari si confonde con le pressioni a garanzia invece di un interesse privato. Colpa del nostro retaggio culturale (basteranno personaggi come Remy Danton di House of Cards ad accendere la curiosità sul lavoro del lobbista?) e della mancanza di una regolamentazione chiara, a partire dal Registro obbligatorio dei lobbisti.

Può la tecnologia fare qualcosa, anche al di qua dell’Oceano? “Il valore aggiunto di queste app è probabilmente quello di anticipare un trend futuro: avere cioè online, disponibile a chiunque sia interessato, una mappa delle interazioni tra chi svolge una funzione pubblica e chi invece fa il lobbista”, spiega a Wired Gianluca Sgueo, professore del corso “Lobbying and Democracy” alla Bocconi.

“In Europa ha appena lanciato un progetto simile la rete Euractiv, il network informativo sulle politiche europee. Servirebbe un passo in avanti perché” – come sottolinea Sgueo – con le tecnologie moderne chiunque può crearsi un database di contatti e un calendario aggiornato: i dati delle PA sono liberi, per cui con un po’ di sforzo li ottieni anche senza app”.

C’è una startup italiana che sta provando a fare questo passo in più. Policy Brain – per ora solo in versione beta – prova a unire al database-rubrica una serie di dati destrutturati su quello che i politici dicono e fanno. Il progetto è finanziato dallo studio Cattaneo Zanetto & Co. e sarà lanciato a marzo 2015. “Credo tantissimo nell’innovazione attraverso l’utilizzo degli open data e degli altri strumenti di lettura del dibattito politico”, ci racconta il lobbista Paolo Zanetto. “Il nostro obiettivo è di fare non solo una directory, ma un database mai creato prima che spieghi il comportamento di ogni politico rispetto a un certo tema”. Policy Brain analizza tutta l’attività dei politici: dalle votazioni all’analisi automatizzata di ciò che dicono in pubblico o sui social network. “Crea una sorta di rete nodale da cui è possibile capire chi è leader, chi segue e, fuori dal Parlamento, chi sono gli influencer”.

Il tema di fondo rimane comunque la trasparenza. Che farebbe comodo a tutti: non solo a funzionari pubblici e lobbisti, ma soprattutto ai cittadini che vogliono capire come nascono quelle leggi che poi vanno a interessare la vita quotidiana di tutti noi. “La tecnologia può aiutare – sottolinea Sgueo – ma è evidente che serve prima uno sforzo del legislatore nel regolare la materia in modo serio ed efficiente”. In Italia ci sono delle proposte di legge in corso di esame in commissione al Senato. “Spero sia approvata una legge al più presto – aggiunge Zanetto – In questo senso abbiamo molto da imparare da Bruxelles, in particolare per quanto riguarda l’utilizzo di uno strumento come le consultazioni pubbliche, che aiutano a comprendere tutti gli interessi che ruotano intorno a un certo provvedimento”.

Fonte: wired.it | Autore: Federica Ionta

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