Né soldi pubblici né trasparenza: il futuro dei partiti

Né soldi pubblici né trasparenza: il futuro dei partiti

Senza soldi pubblici e senza trasparenza su chi le finanzia: il futuro delle casse dei partiti italiani è nero.
A fine 2016 scade l’ultima tranche di contributi elettorali e il 2017 si preannuncia come l’anno zero per chi vuole fare politica.
A spiegarlo è una ricerca comparativa curata da Raise the Wind in collaborazione con il think tank Competere che mette in fila tutte le problematiche che comporta, dopo la riforma del 2014, il passaggio «dal sistema di finanziamento pubblico dei partiti politici di tipo diretto a quello di tipo indiretto, basato su donazioni liberali con un tetto di 100 mila euro annui per persone fisiche e giuridiche, agevolazioni fiscali al 26% per importi tra i 30 e 30 mila e 2 x mille dell’imposta sul reddito per i soggetti politici registrati nella seconda sezione del Registro nazionale dei partiti politici».

COME FARE A SOPRAVVIVERE? Come farà Forza Italia a sopravvivere senza le donazioni di Silvio Berlusconi, sempre più impegnato a uscire dalla politica?
E la Lega Nord di Matteo Salvini ormai in crisi con i conti o il Partito democratico alle prese con una battaglia tra la Fondazione Ds in mano all’ex tesoriere Ugo Sposetti e le nuove leve del Giglio magico di Matteo Renzi?
Per non parlare di quel che rimane del vecchio Msi di Giorgio Almirante e la Fondazione Alleanza nazionale, stretta tra gli interessi di gasparriani, alemanniani, finiani e meloniani.
La ricerca ha monitorato le attività di fundraising – raccolta di fondi per un progetto, un’istituzione o un’organizzazione – di 17 partiti negli ultimi tre anni.
Sono sempre di più quelli che si sono attrezzati, per evidente necessità di contante, ma la filosofia è ancora lontana da quella anglosassone.
Negli Stati Uniti esiste persino il Charity navigator, un’organizzazione indipendente che monitora le donazioni sin dal 2002.

MANCANO PROGETTI. «A questo si aggiunge che nessuno interpreta il fundraising nel vero senso del termine», spiega Roberto Race, segretario generale di Competere.
«In teoria il fundraising dovrebbe servire a coinvolgere i donatori in un progetto politico chiaro e non solo per attrarre donazioni. L’esempio perfetto è stato quello di Barack Obama nel 2008».
C’è il rischio di una bancarotta? «Semmai c’è il rischio dell’arrivo di un Trump anche in Italia», conclude Race.

NIENTE PERSONALIZZAZIONE. Da noi infatti accade altro. La nota dolente, spiega appunto la ricerca, «è la gestione dei sostenitori e gli strumenti di comunicazione utilizzati, la vera chiave di volta alla base del fundraising. Focalizzandoci sull’online, nel 100% dei casi sono i social network, principalmente Facebook e Twitter, il mezzo più utilizzato dai partiti e dai movimenti politici analizzati per comunicare con i propri sostenitori. Questo indica una generale assenza di personalizzazione nelle singole comunicazioni. Solo il 35% del campione dispone di intranet, strumenti di comunicazione interna e community ufficiali. Sui siti web dei soggetti politici analizzati solo il 47% offre la possibilità di iscriversi alla newsletter di partito e solo il 12% dispone di form in home page per l’iscrizione».
Insomma in pochi si sono attrezzati. Di sicuro c’è il Partito democratico che da almeno otto anni ha un ufficio di fundraising. E allo stesso tempo il premier e segretario del Pd Matteo Renzi ha lanciato negli anni passati la Fondazione Open dove pubblica i finanziatori.
Raffaele Picilli di Raise the Wind spiega appunto che «in Italia possono accadere esempi come quello di Forza Italia dove si va avanti a donazioni di Berlusconi o di altri». C’è da ultimo il caso di Ennio Doris, il patron di Mediolanum che ha donato 500 mila euro, ma per farlo ha dovuto spezzettare in cinque parti la sua donazione: una della moglie, le altri di figli e parenti». Una situazione al limite del surreale. «Io avrei favorito il sistema tedesco di finanziamento ai partiti, misto tra pubblico e privato», aggiunge Picilli.

NON C’È UN CODICE ETICO. «In Italia hanno scelto diversamente, ma allo stesso tempo non hanno un codice etico, non c’è trasparenza. Bastava che si inserisse una postilla nella legge. Non l’hanno voluto fare. Continueranno così i finanziamenti sottotraccia».
Picilli ha curato la ricerca insieme con Marina Ripoli e Salvatore Di Falco.
Lo stesso strumento di crowdfunding – raccolta di fondi, soprattuto online, tramite piccoli contributi di gruppi molto numerosi «ha senso se inserito in un programma completo di fundraising. Non basta come singola tecnica per fidelizzare i donatori, o meglio, per raggiungere tutti i donatori. Nonostante le buone dichiarazioni di intenti, solo il 7% dei partiti e movimenti analizzati fa ricorso propriamente al crowdfunding per il finanziamento di progetti e attività. Attualmente rimane una tecnica di fundraising utilizzata sporadicamente solo da alcuni movimenti o da politici a livello individuale».
Soprattutto continua a mancare trasparenza e rendicontazione. Fattore che potrebbe pure peggiorare in tempi di riforma elettorale e con la possibilità di tornare al proporzionale. I singoli candidati come si finanzieranno? Le aziende che faranno donazioni saranno tracciate?

POCA RENDICONTAZIONE.«Quando si parla di fundraising» si legge nello studio, «non si possono trascurarere i principi di trasparenza e rendicontazione. Il donatore quando dona una somma per sostenere un progetto elettorale, dovrebbe poterne seguire l’andamento e controllare le spese, l’uso che è stato fatto di quella donazione. Il 94% dei partiti analizzati pubblica online il proprio bilancio (40% nel 2013). Il 100% del campione se si fa riferimento ai partiti iscritti nel registro nazionale. Il 47% del campione colloca in home page la sezione “trasparenza” all’interno della quale consultare i documenti di rendiconto. Solo il 6% consente di autorizzare la pubblicazione di nome, cognome e contributo del donatore».
All’appello manca pure il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo con il ruolo sempre più oscuro della Casaleggio Associati che gestisce anche il sito del comico genovese.
Infine il 2 x mille. «Nel 2016 sono 21 i partiti che hanno avuto accesso a questo strumento. Secondo la nostra indagine, il 94% ha attivato almeno un’iniziativa di comunicazione online o offline per informare e incoraggiare la destinazione del 2 x mille a proprio favore, ma solo nel 41% dei casi è stato pubblicizzato in maniera efficace».

Fonte: lettera43.it | Autore: Alessandro Da Rold

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