Ue, il miraggio dell’esercito comune anti terrorismo

Ue, il miraggio dell’esercito comune anti terrorismo

L’Unione europea «deve avere strumenti militari per proteggere i suoi cittadini» dal terrorismo. Dopo la strage di Nizza ritorna puntuale l’appello alla creazione di un corpo militare europeo, capace di assicurare una difesa a livello comunitario. Questa volta la chiamata alle armi arriva dal presidente del Partito popolare europeo (Ppe), il francese Joseph Daul: «Il Ppe difende da molto tempo una Unione della sicurezza più solida e più efficace, con reali capacità militari: è l’unico modo per proteggere i cittadini contro le minacce interne ed esterne alle quali l’Europa deve fare fronte oggi», ha sottolineato.
LE CONTRADDIZIONI FRANCESI. Un vero e proprio richiamo allo spirito di difesa comune quello fatto dal francese Daul. E pensare che fu proprio il parlamento francese nel 1954 a bocciare l’idea di avere una Comunità europea di difesa (Ced).
A teorizzarne l’idea, invece, era stato René Pleven, capo del governo d’Oltralpe dal 1950 al 1952. Ma il suo progetto di attuazione, il cosiddetto ‘piano Pleven’ fu affossato dai suoi stessi connazionali.
Il trattato di istituzione della Ced fu firmato infatti il 27 maggio 1952 da Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Germania Ovest, Italia e Francia, ma a Parigi il trattato intergovernativo che doveva sanicrne la nascita vera e propria non fu ratificato dal Parlamento.

Dal Ced all’Ueo, i tentativi falliti di avere un esercito europeo

Al suo posto fu creata così l’Unione europea occidentale (Ueo), Alleanza politico-militare, che tuttavia non ha mai funzionato.
Al nuovo progetto di cooperazione militare aderì anche un settimo Stato: il Regno Unito, che firmò il trattato a Parigi il 23 ottobre 1954 insieme agli stessi Paesi che avevano provato a creare il Ced.
I Paesi dell’Ueo, oltre a impegnarsi alla mutua assistenza in caso di aggressione militare di potenze terze, sulla linea del vecchio trattato di Bruxelles del 1948 siglato da Francia, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi e Regno Unito, misero anche le basi per sviluppare la cooperazione in ambito culturale, economico e sociale.
DOPO I FALLIMENTI L’OMBRELLO NATO. Ma proprio sul fronte militare, che rappresentava la loro ragion d’essere, non fecero alcun progresso. Così, negli Anni 70 l’Ueo scomparve nel silenzio e nel disinteresse generale.
Un vuoto che, a causa della Guerra fredda, fallito il progetto Ced e il tentativo Ueo, spinse quasi tutti i Paesi Ue a mettersi sotto l’ombrello della Nato.
Da allora il dibattito su un’integrazione militare è il vecchio ritornello che accompagna l’Europa.
Un altro tentativo fu fatto con la Dichiarazione di Roma del 27 ottobre 1984: il documento evidenziava la necessità di definire e sviluppare una «identità di sicurezza europea» e di «armonizzare progressivamente» le politiche di difesa degli Stati membri.
Ma, appena due anni dopo quella Dichiarazione, con il processo di allargamento che portò nella famiglia Ue anche Spagna e Portogallo, la politica di difesa subì un’altra battuta d’arresto: l’idea coinvolgeva interessi e settori produttivi nazionali troppo importanti per essere sacrificati dai singoli Stati sull’altare di una politica di difesa comune.
Eppure, proprio quella difesa comune, con la caduta del muro di Berlino nel 1989 e la dissoluzione dell’impero sovietico, sono diventate una emergenza più gestibile.
SULLA DIFESA OGNUNO FA PER SÉ. Solo nel 1992 con il trattato di Maastricht, la Politica europea di sicurezza e difesa (Pesc) è tornata sul tavolo degli Stati membri ed è stata poi riconosciuta con il trattato di Lisbona (firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore l’1 dicembre 2009).
Ma anche così, quando si parla di difesa, sono gli Stati membri a gestire la proprio politica a livello nazionale.
La Pesc è infatti una politica intergovernativa che riguarda solo le missioni e le operazioni dell’Ue nei Paesi terzi, che ha come obiettivo, rimasto per ora solo sulla carta, quello di migliorare e coordinare le capacità di difesa degli Stati membri dell’Ue.
Per raggiungere questo obiettivo bisogna infatti accrescere la cooperazione reciproca: un tema sul quale gli Stati membri non riescono a trovare un accordo. Basti dire le unità militari dell’Ue, i cosiddetti Battlegroups formati da 1.500 soldati organizzati in 14 battaglioni, non sono mai stati utilizzati.

Hollande e la nuova spinta dopo l’attacco al Bataclan

Tuttavia, se a livello pratico non si riesce a organizzare nessun tipo di esercito europeo, a livello teorico si sprecano le riunioni dei capi di Stato e di governo dei Paesi Ue per cercare di mettere a punto nuove strategie.
Nel dicembre 2013 i leader europei hanno concordato sulla necessità di lavorare sulla sicurezza cibernetica, marittima, e migliorare il dispiegamento delle forze di difesa.
LA SPINTA DI JUNCKER. Un pacchetto di buone intenzioni alle quali si aggiunge la raccomandazione della Commissione per una cooperazione dell’industria della difesa. Ma si sa che quando si parla di industria delle armi ognuno pensa per sé. E di condividere interessi, perdite e soprattutto profitti non ne vuole sapere nessuno.
A crederci ancora è il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker. Nel marzo 2015, in un’intervista al settimanale tedesco, Die Welt am Sonntag ha spiegato: «L’immagine dell’Europa ha sofferto drammaticamente anche in termini di politica estera, non sembra che siamo presi completamente sul serio».
Una forza armata europea «mostrerebbe», invece, «al mondo che non ci saranno mai più guerre tra gli Stati membri. Aiuterebbe a disegnare una politica estera e di sicurezza comune e permetterebbe all’Europa di assumersi le sue responsabilità nel mondo».
UNO SCUDO ANTI TERRORISMO. Ma soprattuto le permetterebbe di difendersi dagli attacchi terroristici che in questi ultimi anni hanno colpito gli Stati membri. Dopo la tragedia del Bataclan, a rimettere la questione sul tavolo è stato infatti proprio Hollande.
Il presidente francese si è appellato all’articolo quinto del trattato dell’Ueo per la solidarietà in materia di difesa (che è stato salvato e reinserito nel Trattati di Lisbona diventando l’articolo 42.7) e la cui applicazione non è mai avvenuta sino ad oggi.
Al di là della creazione di un esercito comunitario vero e proprio Hollande chiedeva di far scattare un meccanismo di assistenza dei 28 con tutti i mezzi possibili.
Ma se l’Europa non è riuscita a trovare un’intesa comune quando ancora era formata da soli sei Stati membri, che ci possa riuscire ora sembra una utopia.

Fonte: lettera43.it | Autore: Antonietta Demurtas

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