Spagna, lo stallo continua: ipotesi nuove elezioni

Spagna, lo stallo continua: ipotesi nuove elezioni

È passato un mese da quel 20 dicembre che ha segnato l’inizio di una nuova era politica per la Spagna, con il balzo in avanti dei nuovi partiti Podemos e Ciudadanos e il ridimensionamento del Partido Popular, che pur vincendo le elezioni è rimasto però lontano dai 176 seggi al Congresso necessari per governare.
Il 13 gennaio si sono insediati i nuovi deputati, ma la formazione di un governo in tempi brevi con una prospettiva di stabilità sembra impossibile, vista la nuova situazione del Congresso che è occupato, di fatto, da un quadripartito, anche se con numeri e rapporti di forza diversi (Pp 122 seggi, Psoe 90, Podemos 69, Ciudadanos 40).
LA MISSION IMPOSSIBLE DI RAJOY. Al Senato il Pp ha la maggioranza assoluta (147 senatori su 266), ma l’ordinamento spagnolo è un bicameralismo imperfetto in cui è il Congresso (Camera bassa) ad avere i maggiori poteri, tra cui la nomina e la fiducia al governo.
Il 18 gennaio il re Felipe VI ha iniziato le consultazioni con i vari partiti per designare il premier che avrà l’incarico di formare il governo: con tutta probabilità sarà il presidente del governo in carica, Mariano Rajoy, ma si tratta di un’investitura formale perché i soli voti del suo partito non bastano per eleggerlo con maggioranza assoluta e le altre formazioni non voteranno un candidato del Pp.
Fallito il primo tentativo, la Costituzione prevede che entro 48 ore il re indichi un nuovo nome – presumibilmente Pedro Sánchez, leader del Psoe che è il secondo partito più votato – a cui basterà la maggioranza semplice.
DUE MESI DI TEMPO PRIMA DI NUOVE ELEZIONI. Nel caso in cui nemmeno da questo secondo voto uscisse il nuovo presidente, il parlamento ha due mesi di tempo per trovare una soluzione, altrimenti il re scioglie le camere e indice nuove elezioni.
Sembrano basate su un’alleanza impossibile le speranze degli spagnoli di avere un nuovo esecutivo e così superare il rischio di una lunga paralisi istituzionale. Secondo un sondaggio di Metroscopia, il 61% degli spagnoli vuole che i partiti raggiungano un accordo, mentre solo il 33% preferisce che si torni alle urne.
L’ipotesi di larghe intese tra Pp e Psoe, l’unica che potrebbe dare una solida maggioranza al Paese, è al momento la più improbabile: mentre dagli azzurri sono arrivate aperture in questo senso, i socialisti non si sono mai mossi di un millimetro, ribadendo il “no” a ogni ipotesi di alleanza, anche con un candidato premier diverso da Rajoy.

Il futuro della legislatura ruota attorno alla questione catalana

Sostenitori dell'indipendenza della Catalogna.

Nemmeno un’ipotesi a tre, che includa anche Ciudadanos e sia fondata sulla difesa dell’unità della Spagna, in antitesi alle istanze indipendentiste di Podemos, sembra convincere il Psoe.
Eppure sono proprio questi tre partiti ad essersi messi d’accordo per le elezioni della “Mesa del Congreso”, l’organo reggente e rappresentativo della Camera dei deputati, che su nove membri annovera tre deputati del Pp e due di Ciudadanos – la maggioranza – con a capo un presidente del Psoe, Patxi López.
L’accordo è stato molto criticato dal leader di Podemos, Pablo Iglesias, circostanza che allontana ancora di più l’ipotesi di una coalizione di sinistra, nella quale però, oltre all’asse Psoe-Podemos-Unidad Popular (161 deputati), ci sarebbe bisogno dell’appoggio di almeno uno tra i due partiti catalani, Esquerra Repubblicana (9) o Democracia i Llibertat (8).
E qui entra in scena la questione su cui si è giocata una parte importante della campagna elettorale e da cui probabilmente dipenderà il successo o meno di questa legislatura: la Catalogna.
LE CONDIZIONI DI PODEMOS. Per Podemos, infatti, condizione “imprescindibile” per un governo di coalizione con i socialisti è la riforma costituzionale che includa la possibilità di un referendum sull’indipendenza della Catalogna, e su questo Sánchez non è disposto a cedere.
Anche su altri temi centrali del programma di Podemos, come la deroga della riforma del lavoro e la legge 25 (ley de emergenza social), non sarebbe facile ottenere il pieno appoggio dei socialisti.
Con quest’ultima, che Iglesias ha annunciato come la prima proposta di legge che sarà presentata al parlamento, i viola propongono un contributo fisso per le famiglie in difficoltà con il pagamento delle bollette e il blocco degli sfratti per le persone senza un’alternativa abitativa.
UN GOVERNO DAI POTERI LIMITATI. Nell’attesa che i partiti trovino una via d’uscita alla crisi, la Spagna vive questa situazione anomala in cui c’è ancora un governo nel pieno delle sue funzioni, che è quello uscito dalla precedente legislatura, e al contempo un nuovo parlamento già formalmente costituito.
La legge spagnola sancisce chiaramente che il governo precedente può occuparsi delle quotidiane questioni formali e non può intervenire se non in casi “di urgenza specificamente attribuitigli o ragioni di interesse generale”.
Il parlamento, però, è autorizzato a legiferare anche senza attendere la proclamazione del nuovo governo, anche se per prassi, in passato, la sua prima decisione ha sempre riguardato l’investitura dell’esecutivo.

Fonte: lettera43.it

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