L’Arte perduta della Legistica

L’Arte perduta della Legistica

Ieri ho dovuto avventurarmi nei meandri della L. 56/2014, l’arcinota “Delrio” che cerca di mettere ordine nel sistema delle città metropolitane e nel regime di transizione dall’ordinamento provinciale vigente al mondo ignoto che ci attende.

E’ una legge di un solo articolo. Però con oltre 150 commi, che parlano un po’ di tutto. E’ incomprensibile, se cerchi qualcosa non lo trovi mai, se per qualche ragione perdi il segno sei perduto e devi ricominciare da capo… E – purtroppo – è un perfetto esempio di “legge di sistema” italiana degli ultimi 10-12 anni. In teoria, una legge dovrebbe essere divisa in articoli, ciascuno dei quali dovrebbe avere per oggetto un preciso aspetto della materia che si vuole regolamentare. E – secondo la Costituzione (art. 72) – ogni singolo articolo dovrebbe essere oggetto di votazione separata, perché magari io posso essere d’accordo – ad esempio – con la trasformazione delle province in enti a elezione indiretta ma – magari – perplesso sulla composizione dei consigli. Cioè il lavoro “articolo per articolo” dovrebbe consentire di creare testi normativi più chiari, più coerenti, più facilmente interpretabili e applicabili, più conoscibili. Quindi più onesti e più democratici.

Il leguleio Azzeccagarbugli non cerca di rendere chiare le norme al povero Renzo. Le complica, le confonde, le mescola per creare fumo, non per diradarlo. E così fa il nostro legislatore. 1 solo articolo di 150 commi è un insulto allo stato di diritto, uno schiaffo al cittadino e il costante legiferare in questo modo è una evidente violazione di un principio di democraticità, non perché la legge malscritta sia di per sé foriera dell’instaurazione di un regime autoritario, ma perché la legge contorta e incomprensibile impedisce quell’equiparazione tra Stato e cittadino che è la base del principio democratico. Se io non capisco, non ho gli strumenti per capire, allora non sono in grado di essere posto al tuo stesso livello. Ti sono sottomesso.

In realtà, la colpa però non è di Delrio. E neppure di Matteo Renzi. La colpa è innanzitutto dei due presidenti delle Camere, che hanno messo all’ordine del giorno una legge così concepita. E – infine – del presidente della Repubblica, il loquacissimo Giorgio Napolitano, che avrebbe dovuto negare la propria ratifica a questa legge e a molte altre, come fece il suo predecessore Carlo Azeglio Ciampi che – ad esempio – nel dicembre del 2004 rinviò alle Camere la riforma della giustizia promossa dal ministro Castelli, obiettando anche sulla qualità tecnica della legge:

Con l’ occasione ritengo opportuno rilevare quanto l’analisi del testo sia resa difficile dal fatto che le disposizioni in esso contenute sono condensate in due soli articoli, il secondo dei quali consta di 49 commi ed occupa 38 delle 40 pagine di cui si compone il messaggio legislativo. A tale proposito, ritengo che questa possa essere la sede propria per richiamare l’ attenzione del Parlamento su un modo di legiferare – invalso da tempo – che non appare coerente con la ratio delle norme costituzionali che disciplinano il procedimento legislativo e, segnatamente, con l’ articolo 72 della Costituzione, secondo cui ogni legge deve essere approvata ”articolo per articolo e con una votazione finale”.

Ciampi si lamentava per i 49 commi della Castelli, che mai avrebbe detto dei 150 della Delrio? Confusi, malscritti, pieni di rinvii ad altre leggi che non esistono e un paio di volte con la ridicola frase “in attesa della riforma della II parte della Costituzione”. Cioè una legge-auspicio? non una legge che disciplina il presente, ma una che aspetta un’altra che forse un giorno verrà? un Godot legislativo?

Quindi? perché si continua a legiferare in modo così caotico? Le ragioni sono a parer mio quattro: nevrosi, furberia, ignavia e paura.

a) Nevrosi. Il dibattito politico italiano è costantemente sovraeccitato, sempre preda di ansie millenaristiche, di ultime spiagge e di urgenze improcrastinabili vere o – spesso – immaginarie. Quindi bisogna sempre fare in fretta, mai fare bene… Sempre con il coltello alla gola, sempre in attesa che succeda di tutto, tanto poi non succede mai niente. E quindi, si legifera alla carlona, con scarsa cura, con nessuna passione civile.

b) Furberia. Si fanno leggi confuse perché si coglie l’occasione per inserire qualche sottocomma, qualche inciso, qualche normetta utile agli amici. E agli amici degli amici. Avete presente quando si legge di un emendamento presentato nella notte da un oscuro parlamentare? Ecco. E’ quella roba lì… Un deputato che è rimasto zitto per 2 legislature, improvvisamente alza il dito, prende la parola in aula per la prima volta in vita sua e con un italiano stentato propone una porcata. E la porcata è approvata.

c) Ignavia. L’ignavia è collegata con la sciatteria, con il disinteresse, con la prostrazione emotiva. E’ il “massì, sarebbero da fare due articoli, ma facciamone uno! Si vabbè Ciampi quella volta ha scritto così e cosà, ma ormai quel vecchio trombone azionista non è più presidente da tanto tempo… e poi a chi frega? intanto facciamo, poi se la vedano loro…”. Si chiama assenza di senso dello Stato e delle istituzioni. Di amor proprio e di decoro.

d) Paura. Paura di non farcela. Paura che il governo cada. Paura che il Parlamento colga l’occasione per “mandare segnali”. E quindi che si fa? il trittico micidiale “decreto legge-maxiemendamento-fiducia sul maxiemendamento”. Un modo per privare il Parlamento della propria funzione costituzionale e di truccare il gioco. Si può capire la forza di un esecutivo dal numero di commi presenti in una proposta di legge. Più commi (e meno articoli) ci sono, più l’esecutivo è fragile e impaurito. Non so se sia necessariamente così, ma è una chiave di lettura…

La riforma della II parte della Costituzione avrebbe potuto essere un’occasione buona per rimettere ordine nel procedimento legislativo, risolvere alcuni problemi ormai arcinoti dopo 70 anni di vita costituzionale. Ma la riforma costituzionale è stata fatta sulla base di tutte le 4 patologie appena descritte, più una quinta: la prepotenza. Basta vedere un confronto tra il vecchio articolo 70 (“la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”) e il nuovo, che passa dalle 9, semplici e chiare parole, a svariate decine anche piuttosto contorte.

Magari però esiste una sesta ragione: l’ignoranza. Magari – semplicemente – la legistica (cioè la scienza della scrittura delle norme) non la si conosce più, non la si studia più. Io nell’ambito del corso di Diritto Costituzionale Italiano e Comparato (prof. Lucio Pegoraro, 1991) ebbi modo di studiare un librettino con i principi-base della buona legislazione. E non sono neppure laureato in Giurisprudenza, ma solo in Scienze Politiche. E oggi? Io non ho mai fatto studiare legistica, perché il corso non dura più 8 mesi come nel 1991 ma 45 ore. E perché ormai tutti giochiamo al ribasso… Pertanto, non so se riusciremo mai a ritrovare la strada della buona legislazione, personalmente ne dubito. Però sarebbe doveroso provarci, anche perché – lo ricordino i nostri confusi Licurghi – il diritto impatta sulla nostra vita giorno dopo giorno. E se le regole sono fatte male, poi siamo noi cittadini che viviamo male…

Marco Cucchini | Poli@rchia (c)

 

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