Cosa può dirci la psicologia del fondamentalismo?

Cosa può dirci la psicologia del fondamentalismo?

Che cosa rende simili le stragi nei college americani che dal 1990 hanno fatto centinaia di morti e le crudeli stragi dei seguaci occidentali dell’Isis? La psicologia come può interpretare certi fatti che sembrano così distanti fra loro?

A ben vedere gli attentatori sono sempre giovani adulti che sembrano odiare il loro tempo e i loro simili tanto da arrivare ad ucciderli come se la vita terrena non avesse per loro alcun valore, tanto da divenire massimamente crudeli e abbracciare credenze radicali e assolutiste. Uno degli assilli degli psicologi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale è stato proprio quello di capire come dei normali esseri umani avessero potuto pianificare e mettere in atto lo sterminio di un altro popolo. Da questo dilemma iniziò una fortunata serie di esperimenti sull’autoritarismo, sul conformismo e sull’aggressività. Alcuni noti psicologi come Stanley Milgram e Phil Zimbardo hanno analizzato le situazioni che favoriscono o sfavoriscono la messa in atto di comportamenti crudeli. Questi psicologi hanno evidenziato il “potere della situazione”, contrapposto al potere della biologia, nel determinare i comportamenti dell’uomo. La svalutazione e la disumanizzazione degli altri sono alcuni potenti meccanismi in grado di creare contesti che rendono probabili i comportamenti malvagi e crudeli.

La disumanizzazione e la svalutazione sono anche favorite da meccanismi di “interpretazione” della realtà che tendono a considerare ciò che è “diverso da noi” come cattivo, rispetto a ciò che è “più vicino a noi” come buono e positivo. Molti psicologi hanno dimostrato che questa polarizzazione del pensiero che porta a vedere il mondo senza sfumature e a classificare il prossimo come giusto o sbagliato, buono o cattivo, morale o immorale, senza sfumature e senza appello, predice valori e modi di agire radicali e fondamentalisti. Tale modo di funzionare della mente è stato definito splitting, totalitarian mindset, assolutismo morale, ingroup and outgroup categorization o anche intolleranza dell’ambiguità.
Non si tratta meramente di “banalità del male” poiché tali meccanismi, da un punto di vista psicologico, non risultano affatto banali. Per trovare delle soluzioni agli inganni della mente che portano a dicotomizzare la realtà occorre attuare politiche che educhino ad una psicologia che favorisca un modo di pensare complesso, riavvicini i contrari, si identifichi con l’altro da sé, riconcili ciò che appare inconciliabile, favorisca gli incontri fra diversi e spinga ad un lungo ed ostinato confronto alla ricerca di punti di contatto, che possano essere continuamente rimessi in discussione.

La psicologia ha inoltre messo in luce che un formidabile antidoto ai comportamenti disumani è l’identificazione con persone simili a noi che si oppongono alle ingiustizie e alla crudeltà in un contesto che, per giunta, premi tali comportamenti virtuosi. La guerra da questo punto di vista fornisce delle soluzioni dolorose, che rischiano di essere illusorie e di breve periodo; come la psicologia e la sua storia insegna la guerra per essere pensata ha sempre bisogno di fondarsi sulla categorizzazione “amico-nemico” che risulta essere l’esatto contrario di ciò di cui ci sarebbe bisogno per tornare alla umana convivenza.

Fonte: huffingtonpost.it | Autore: Renato Foschi

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