L’Italicum fa le pentole, ma non i coperchi…

L’Italicum fa le pentole, ma non i coperchi…

Una delle scene più esilaranti del teatro di Eduardo de Filippo è quella sul presepio in “Natale in Casa Cupiello”. “Te piace ‘o presepio?” chiede il padre speranzoso al figlio riottoso, il quale risponde “no!”. Al che il protagonista cerca di smussare le obiezioni in vario modo, una delle quali è “certo, si capisce, è abbozzato, non si vede niente, ma quando è finito si può dare il giudizio, è giusto, non si può dire adesso…

E’ l’argomentazione principale scelta da molti laudatores del nuovo sistema elettorale: “ok, a primo acchito è così così ma vedrete come garantirà la governabilità, la democrazia, la rappresentanza…” e via magnificando. Bene, sono passate ormai varie settimane dalla pirotecnica approvazione dell’Italicum e possiamo dare un primo giudizio abbozzato non su quello “che sarà”, ma su quello “che è”. Come già sapeva nel tardo ‘700 il politico statunitense Elbridge Gerry, infatti, tutto comincia da come si disegna il collegio o la circoscrizione elettorale.

Non si tratta di un passo insignificante. Il grado di omogeneità socioculturale, economica e istituzionale di un collegio influenza inevitabilmente la qualità del rapporto tra rappresentanti e rappresentati, perché più l’area è compatta, coerente e omogenea, maggiore sarà il “vincolo di mandato” che l’eletto riceve e quindi – in ultima analisi – più elevato il livello di “accountability” al quale l’eletto è politicamente vincolato.

Alcuni giorni fa il governo ha reso nota la struttura dei 100 collegi plurinominali in base ai quali si articolerà la competizione elettorale e – come previsto – il Friuli Venezia Giulia verrà diviso in due macroaree sulla base di una linea verticale, che ricorda – non troppo alla lontana – il confine con l’Impero d’Austria dal 1866 al 1918. La ragione di una divisione di questo genere risiede nel dettato dell’art. 3,1 punto g:

nella circoscrizione Friuli Venezia Giulia uno dei collegi plurinominali è costituito in modo da favorire l’accesso alla rappresentanza dei candidati espressione della minoranza linguistica slovena, ai sensi dell’articolo 26 della legge 23 febbraio 2001, n. 38.

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La comprensibile esigenza di tenere unite le aree nelle quali la minoranza slovena è più presente non poteva che determinare, quindi, una divisione in verticale del territorio regionale, sacrificando altre opzioni possibili. Avrebbe avuto probabilmente più senso – questione slovena a parte – una divisione in orizzontale, con l’area montana tutta nel medesimo collegio per omogeneità di problematiche socioeconomiche e territoriali, ma la sistemazione proposta dal governo presenta altri limiti: divide aree omogenee storicamente  (la Bassa Friulana, con San Giorgio di Nogaro da una parte e Cervignano dall’altra) o economicamente (ad esempio il distretto della sedia, con Manzano da una parte e Buttrio dall’altra).

La regione tagliata a metà come un lenzuolo di Fontana probabilmente non raggiungerà lo scopo di rappresentare in Parlamento un esponente della minoranza slovena. Infatti, questo era stato fino ad ora garantito dal Partito Democratico grazie alle liste bloccate e – in precedenza – dal PDS/DS che in uno dei collegi “winnible” dell’area isontina ha sempre favorito l’elezione di uno sloveno. Ma con i due macrocollegi, il solo capolista bloccato e la zuffa per le preferenze, questo risultato sarà molto più difficilmente conseguibile.

Ormai è probabilmente tardi, ma c’era un’alternativa che consentisse di tenere al centro il pluralismo linguistico e culturale della regione, senza sacrificare gli altri criteri di rappresentanza politica parimenti importanti (cioè la coerenza socioculturale, economica, storica e territoriale). Bastava rivendicare anche per il Friuli Venezia Giulia quello che si è riconosciuto al Trentino Alto Adige: l’articolazione in collegi uninominali.

Il Trentino Alto Adige ha infatti mantenuto i collegi uninominali del Mattarellum proprio perché il legislatore ha ritenuto in questo modo di salvaguardare il pluralismo linguistico e culturale di quella regione, senza sacrificare gli altri aspetti della rappresentanza democratica. E se questo lo si è fatto in Trentino Alto Adige (e in Valle d’Aosta), lo stesso si poteva fare anche in Friuli Venezia Giulia. Anche la nostra regione come le altre due citate è infatti dotata di autonomia speciale e ha al suo interno una minoranza linguistica costituzionalmente tutelata.

Si poteva fare, ma non si è fatto. I Deputati e i Senatori del Friuli Venezia Giulia non hanno ritenuto neppure di provarci, hanno preferito non disturbare il manovratore. Il che – forse – sarà utile alle singole carriere personali di qualcuno tra loro, ma ne è uscita compromessa la qualità complessiva della rappresentanza democratica della nostra regione.

Marco Cucchini | Poli@rchia (c)

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