Tsipras e la democrazia spiegata all’Europa

Tsipras e la democrazia spiegata all’Europa

Nessuno pensava che Tsipras potesse venire eletto premier, né che Syriza potesse avere un così ampio consenso, men che meno che uno come Varoufakis potesse fare il ministro delle finanze. La Grecia ci ha stupito con quel risultato, che pochi hanno compreso politicamente, liquidandolo come il trionfo di “un estremismo in un momento complicato”.

La vecchia Europa si era rintanata nell’idea monolitica che tutto dovesse essere ricondotto all’illusione tedesca che tutto dovesse essere tedeschizzato. Bipartitismo, modello di bilancio, struttura finanziaria.
E una certa idea miope per cui tutti gli altri paesi dell’Unione andassero letti con la stessa ottica della Germania, e ricondotti a quella sintassi politica. L’anomalia Tsipras parte da qui, dall’essere qualcosa di non riconducibile a nessuno dei criteri e insiemi e sintassi di quel modello di Europa. E la sua anomalia tuttavia è congenita e frutto di quella stessa pretesa e di quella politica. I partiti dei “due blocchi” omologandosi al modello tedesco ma senza quell’economia e quel sistema industriale, federale, finanziario, hanno portato la Grecia, semplicemente, al baratro.

Proprio perché omogenei e assimilati a quel modello, semplicemente, negli ultimi dieci anni hanno firmato di tutto e accettato di tutto proposto dai propri “omologhi” europei, ottenendo senza colpo ferire due salvataggi e oltre 40miliardi di euro di aiuti. Ciò nonostante oggi il popolo greco ha – in Europa e dovendosi cimentare con gli altri popoli europei teoricamente se non loro fratelli almeno cugini – un salario medio di 450 euro mensili. Oltre la metà del patrimonio infrastrutturale greco – porti, aeroporti, autostrade, impianti energetici, raffinerie, compagnie aeree, telefoniche, navali – sono tutte state cedute all’estero, a società estere – prevalentemente tedesche e cinesi – spesso ad un prezzo nettamente inferiore al valore effettivo e industriale. Cessioni imposte come “condizione” per elargire quegli “aiuti”. Acquisizioni fatte da aziende che hanno acquistato il denaro ad un tasso inferiore all’1%, circa 1/10 dell’accesso al credito delle concorrenti greche (e di molte altre concorrenti europee).

Non serve essere un nobel per l’economia per porsi una domanda: con tante svendite, privatizzazioni e liquidazioni, come si poteva pensare che la Grecia potesse crescere? E con un salario medio di 450 euro, come si poteva pensare che crescesse minimamente il consumo interno? E soprattutto, con tassi mediamente dieci volte superiori a quelli dei concorrenti europei, come potevano far crescere il pil ed essere competitive le imprese greche?

E qui vanno ricordati tre dati fondamentali: il primo è che il debito pubblico complessivo della Grecia è pari a meno di 350 miliardi di euro (un settimo dell’Italia) e il suo Pil è inferiore a quello del nostro triveneto; il secondo, che la Grecia deve ancora avere 80 miliardi di euro di risarcimenti dalla Germania, che “i vecchi partiti” si sono ben guardati dal chiedere alla potente Germania; il terzo, è che la Grecia ha circa 150 miliardi di euro di beni artistici e storici “depositati” all’estero (spesso un deposito non richiesto, come il caso dei fregi del Partenone “in Inghilterra perché Atene non ha una struttura idonea per la loro conservazione”, ma l’Inghilterra ha fatto già sapere che non ha intenzione di renderli a prescindere…). Non sono solo numeri, ma dati che fanno messi e di cui non possiamo non tenere conto in una valutazione ed in un’analisi complessiva.

Sono state le scelte dei “vecchi partiti” greci, dettate e imposte da altri governi europei, a far vincere Syriza, che ha detto cose semplici e di buon senso (alzare i salari per aumentare i consumi interni, cessare le privatizzazioni, controllo delle vendite delle aziende infrastrutturali a imprese estere, e richiesta dei beni artistici e negoziazione del pagamento dei debiti di guerra dalla Germania… solo per fare qualche esempio). Il problema è che nessuno credeva che poi, arrivato al potere, Tsipras queste cose le facesse anche. Peggio, che per farle, si mettesse contro e decidesse di ridiscutere trent’anni – ed in particolare gli ultimi quindici – di “politica che va così..” di “così si è sempre fatto e si deve continuare a fare…”. Il vero nodo, quindi, di tutta la questione è ben più grande e vasto. E va compreso pienamente per quello che è, per evitare che si creda alla fantasia per cui si tratta di 1,6 miliardi di euro.

Rinegoziare il debito, non accettare una riduzione dei salari, non accettare la cessione di asset strategici, sono tutte misure che vanno in una direzione precisa, che ha una sua strategia di sviluppo.
Pensare che siano scelte “ideologiche” e non razionali è patologico. Un governo che ha vinto le elezioni dicendo che avrebbe fatto queste cose, nel momento in cui è posto di fronte al dover compiere scelte diverse ha il dovere di rivolgersi nuovamente al suo popolo per chiedere a lui cosa intende fare. E questo è il secondo punto di incomprensibilità per i vecchi partiti della vecchia Europa, che invece ritengono che anche su questi temi il massimo sia (o debba o possa essere) “riferire in parlamento”, ovvero in quel luogo legislativo che ha in sé già una maggioranza che esprime l’esecutivo: come a dire un rinnovo di fiducia tacita e non un vero confronto con la base popolare. E questa è una seconda lezione di democrazia per tutti i popoli europei, che la democrazia la conoscono proprio perché nata in Grecia – non è mai abbastanza ricordarlo. Una democrazia che oggi appare “stretta e strumentale”.

C’è stato anche chi ha detto che Tsipras vuole un plebiscito, perché non dà il giusto tempo ad una campagna referendaria ai suoi avversari. Chi lo pensa non conosce né la Grecia né – soprattutto – il popolo greco. Averci a che fare dà a tutti noi una terza lezione: il grado di informazione, di pluralismo, di democrazia interna e di consapevolezza è enorme da quelle parti.

Ogni giorno, da anni, il popolo greco conosce bene la sua condizione, la sua situazione, e si è visto togliere pezzo dopo pezzo dalla compagnia di bandiera alla cantieristica navale, alle società statali, alla televisione pubblica. A quel popolo serve tutto meno che “essere informato”. Semmai gli serviva che per esempio l’anno scorso le multinazionali della distribuzione di cibo e medicine non facessero speculazione sulle forniture di base… per esempio. Queste sono cose che loro conoscono bene, e noi decisamente ignoriamo completamente.

Chi crede o rivende che la scelta sia tra euro e dracma, o tra stare in Europa o non starci è qualcuno che non ha compreso cosa doveva essere l’Europa e cosa invece è diventata. Qui il tema non è se dare o meno alla Grecia due miliardi (semmai dei 17 che comunque avrà a fine anno dall’Ue). Non è scegliere se fare un piano straordinario di salvataggio (diciamo anche che sarebbe a costo zero, visto che si userebbe l’ESM che è stato già finanziato due anni fa). Non è nemmeno scegliere se e quali siano i tempi (perché non esistono scadenze politiche che la politica non possa adeguare). Il tema è la paura che l’approccio democratico greco contagi l’Europa, e che altri popoli europei seguano quella linea politica e quel modello, che sono differenti – nella forma e nella sostanza – rispetto ai “vecchi partiti”.

Se poi vogliamo parlare della debolezza dell’euro, è qualcosa che non riguarda la Grecia, i paesi meno forti rispetto a quelli più forti, ma un difetto congenito della nascita della moneta unica: uno strumento finanziario che non ha una testa politica unitaria e democraticamente eletta, e che non risponde ad una politica monetarie e finanziaria univoca e coerente. Una moneta unica in un mercato teoricamente unico, ma che non è fiscalmente e tributariamente unico ed in cui le leggi bancarie e soprattutto i tassi e i criteri di accesso al credito sono assolutamente eterogenei. Peggio ancora: una moneta fatta da Paesi, ognuno dei quali scrive il proprio bilancio in maniera differente (solo per fare un esempio, se la Germania scrivesse il proprio bilancio con gli stessi criteri dell’Italia avrebbe un maggiore debito pubblico di circa 600miliardi, e starebbe peggio anche di noi).

Ma almeno su questo, siamo seri, e non diamo la colpa alla Grecia. Questa moneta, così, è stata voluta da Germania e Francia, a vantaggio delle proprie industrie e finanze, e soprattutto a vantaggio del bilancio tedesco post riunificazione.

A chi me lo chiede, ecco come penso andrà a finire. In un giorno il governo greco ha chiuso la Borsa di Atene per una settimana, e lo stesso giorno l’Europa ha perso quasi 270miliardi di capitalizzazione. Un accordo lo si troverà, ed anche se la Grecia non è pronta ad uscire dall’Euro, è soprattutto l’Europa che non è preparata (perché imponderabile) ad un’uscita di un paese dalla moneta unica. E non per il costo in sé (nel caso circa 800 miliardi) ma perché il segnale al mondo sarebbe che l’euro è una moneta “variabile”, fragile, non definitiva, e quindi non rapportabile a dollaro, yuan, sterlina. Sarebbe come se il Texas si staccasse dal dollaro restando nella federazione.

Quello che sta accadendo è che il tempo perso (sulle spalle dei cittadini) è tempo che occorre ai singoli politici per rivendicare per sé una vittoria, non apparire come sconfitti, non far apparire l’altro come vincitore. Un po’ miope complessivamente. Come quasi tutta la politica del nostro tempo del resto.

La speranza di Tsipras è che il referendum gli amplifichi il consenso, ma se dovesse andare male avrà una scusa politica per accettare qualcosa a ribasso. È quello che ha meno da perdere. La speranza (decisamente miope) dei governi europei è che il popolo greco voti contro Tsipras, legittimando le scelte europee. Significa non avere alcuna idea di come si stia oggi in Grecia, di come vivano quelle persone oggi, e ostinarsi a guardare realtà differenti solo con i propri occhi e dal proprio punto di vista. Ma dovesse andare come vorrebbe Angela Merkel il problema – comunque – non sarebbe risolto. Semmai se vincesse Tsipras la Merkel avrebbe una carta da giocare in casa propria dicendo che non ha ceduto a Tsipras, ma ha dovuto tenere conto del referendum si uno Stato sovrano.

Dato che io ho un partner in Grecia, con cui lavoro da tempo, la condizione reale degli imprenditori greci la conosco un pochino. E condivido con voi una mail che ha scritto ai suoi clienti qualche giorno fa. Non è un valore assoluto, ma uno spaccato decisamente ampio di quella realtà, anche in un serttore tutto sommato “ricco” come le nuove tecnologie, e competitivo, ma anche fortemente dipendente dallo scenario internazionale, soprattutto sei hai business partners in tutto il mondo.

As you allready know we have a big economic crysis.
For now I can’t tranfer money and automatic payment to server company the banks locked.
For this month all July the payment had already did ok
For the next month if Greek economic destroying I don’t know…
And because I am afraid and for downing internet if Greece economic destroying and cannot taking backup… please take a backup for emergency time.
I will trying everything to keep all websites alive without problems.
I hope we’ll find a solution without the Germany boss… I want my Geece free from all this bosses.
Thank you

Autore: Michele Di Salvo | Fonte: huffingtonpost.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *