La legge francese sulla parità tra i sessi

La legge francese sulla parità tra i sessi

FRANCE-GOVERNMENT-EDUCATION-EQUALITY04/02/2014 – È considerata molto avanzata, serve a costruire una parità di fatto e “la terza generazione di diritti delle donne”: il governo però ha fatto un mezzo passo indietro.

Il 28 gennaio l’Assemblea Nazionale francese ha approvato – con 359 voti a favore, 24 contrari e 174 astenuti – un progetto di legge sulla parità di genere proposto dal ministro per i Diritti delle donne Najat Vallaud-Belkacem e già approvato dal Senato il settembre scorso: prima dell’entrata in vigore dovrà essere riesaminato in seconda lettura dal Senato, entro la prossima primavera. Si tratta di un progetto di cui si stanno occupando anche i giornali internazionali perché rappresenta un modello generale che potrebbe essere replicato anche in altri paesi. Per esempio, il New York Times in un editoriale del 25 gennaio ha scritto:

«Si tratta della normativa più completa sui diritti delle donne nell’intera storia della Francia. Il progetto di legge ha lo scopo di dare parità di trattamento alle donne per migliorare i salari, rafforzare le leggi contro la violenza domestica e garantire pari rappresentanza nella vita politica. […] Questo disegno di legge pone la Francia in prima linea negli sforzi per combattere la continua discriminazione nei confronti delle donne. Considerate le minacce ai diritti delle donne in altri paesi d’Europa e nel mondo, compreso l’accesso legale all’aborto, l’impegno del legislatore a legiferare in modo rigoroso è un buon esempio di quello che i governi possono fare per sostenere la parità dei diritti e le pari opportunità per le donne».

Cosa c’è nel disegno di legge
Il progetto di legge (qui il testo completo) raccoglie in modo unitario e organico una serie di disposizioni già presenti nella legislazione francese individuando metodi per renderle effettive e non solo “sulla carta”, ma contiene anche diverse novità piuttosto rilevanti. La legge parte dalla premessa che nonostante nel campo della parità siano stati fatti «considerevoli progressi» nella legislazione internazionale, nel diritto interno e nella Costituzione, un risultato reale non è ancora stato raggiunto e questo si può ottenere facendo partecipare in modo sistematico tutti i ministeri e solo coinvolgendo la società nel suo complesso («è una legge per tutte e tutti»).

«Dopo i diritti civili riconosciuti dalla Liberazione, dopo i diritti economici e sociali degli anni Settanta e Ottanta, è arrivato il tempo di definire le condizioni di una reale e sostanziale parità. Questa terza generazione di diritti delle donne si basa da un lato su uno sforzo senza precedenti per garantire l’effettività dei diritti acquisiti, dall’altra anche su un lavoro di educazione e di cambiamento nei comportamenti per agire alla radice della disuguaglianza. Questo lavoro, che inizia a scuola, deve essere ugualmente fatto nelle istituzioni, nelle amministrazioni, nelle imprese, nei media e nelle associazioni. Poiché le disuguaglianze sono presenti ovunque, dobbiamo agire ovunque».

In Francia l’80 per cento dei lavori domestici continua a essere svolto dalle donne; un divario retributivo medio del 27 per cento a parità di lavoro svolto separa colleghi e colleghe (che rappresentano l’80 per cento dei salariati a tempo parziale); ci sono solo otto donne a capo di università; l’Assemblea nazionale ha solo il 26 per cento di donne – nonostante la legge 493 del 6 giugno 2000 per promuovere la parità di accesso – e solo il 14 per cento dei sindaci sono donne. Il progetto di legge si sviluppa in base a grandi aree tematiche (politica, famiglia, lavoro, violenza, autodeterminazione) e ha come obiettivo dichiarato il raggiungimento di una parità di fatto tra i sessi.

Lavoro
Finora in Francia, come in Italia, solo le società quotate in Borsa e le imprese pubbliche erano obbligate ad avere entro il 2017 il 40 per cento di donne nei loro Consigli di Amministrazione (in Italia è il 30 per cento). Il nuovo progetto di legge vuole imporre tale obiettivo anche a tutte le aziende con più di 250 dipendenti e che hanno un volume d’affari superiore ai 50 milioni di euro. Le aziende che non rispetteranno la parità tra uomo e donna, pagando per esempio di più gli uomini a parità di lavoro svolto, non potranno partecipare alle gare per gli appalti pubblici.

Famiglia
Per superare la tradizionale suddivisione dei ruoli – le donne stanno a casa, gli uomini lavorano – e aumentare il livello di occupazione femminile, il disegno di legge prevede una riforma del congedo parentale. Finora la madre o il padre avevano diritto a sei mesi di congedo alla nascita del primo figlio; da ora sarà possibile prolungare il congedo di altri sei mesi, a condizione che a beneficiarne sia l’altro genitore. Attualmente il 96 per cento dei congedi parentali vengono sfruttati da donne e ogni anno solo 18 mila padri su 540 mila ne beneficiano. L’obiettivo della normativa è arrivare a 100 mila congedi l’anno entro il 2017. Il congedo di tre anni concesso a chi ha due o più figli verrà ridotto ad un massimo di due anni e mezzo se l’altro genitore non deciderà di prendere i suoi sei mesi. Una novità – che però sarà sperimentata per un tempo limitato, 18 mesi, e solo in 14 dipartimenti – è una garanzia pubblica sugli alimenti che spettano al genitore separato: se chi deve pagare non lo fa, sarà lo Stato a farlo rivalendosi in un secondo tempo.

Violenza e autodeterminazione
L’Assemblea ha approvato un emendamento sull’interruzione volontaria di gravidanza che elimina la nozione di détresse, una parola che indica disagio, sofferenza, depressione, disperazione, indigenza: la legge Veil del 1975 prevedeva l’accertamento di questa condizione come elemento centrale per legittimare il ricorso all’aborto entro le 12 settimane in mancanza di un presunto pericolo psicologico o fisico per la donna. Con la sua cancellazione, l’interruzione volontaria di gravidanza diventerebbe un diritto e non una concessione vincolata a determinate condizioni. Sul fronte delle violenze coniugali, il giudice potrà decidere di espellere il coniuge violento dal domicilio comune con un provvedimento d’urgenza immediato, senza dunque attendere la condanna penale (uno dei motivi principali per cui le violenze domestiche non vengono denunciate è la durata dei processi e dei provvedimenti).

Il disegno di legge istituisce poi un numero unico (3919) per rispondere alle chiamate che denunciano violenze domestiche o sessuali, prevede di fornire alle donne che corrono rischi di violenza coniugale un telefono sotto controllo e collegato a una linea d’emergenza, propone di estendere il reato di molestia sessuale alle parole e non solo alle azioni, di esentare dalle tasse il rinnovo dei permessi di soggiorno per le donne straniere maltrattate e, infine, di eliminare la prassi della mediazione come strumento per trovare un accordo tra le parti in caso di violenza domestica. Tale strumento, dice la proposta di legge, «non è adeguato al problema della violenza domestica. Pone su un piano di parità la vittima e l’autore delle violenze, indipendentemente dalla situazione. Rafforza il senso di onnipotenza dell’autore delle violenze sulla sua vittima, che sarà meno disposta a presentare una nuova denuncia considerando questa risposta come inefficace. Il disegno di legge prevede che la mediazione sia esclusa in linea di principio e non possa essere decisa se non su esplicita richiesta della vittima».

Politica
Il testo prevede una serie di norme per rendere effettiva la parità di genere nelle istituzioni, rendendo più severe le sanzioni finanziarie per i partiti che non si presenteranno con liste paritarie alle elezioni o che avranno uno scarto maggiore del 2 per cento tra il numero dei candidati di ciascun sesso. Le sanzioni consisteranno nel taglio di una parte dei contributi pubblici.

L’immagine delle donne
Il disegno di legge contiene una serie di proposte per una corretta rappresentazione delle donne nei media (ambito in cui permane una «resistenza ideologica ancora molto forte»). Il lavoro dell’Osservatorio sull’Uguaglianza dovrà essere reso più puntuale e, nel rinnovo dei contratti tra i ministeri, le varie associazioni e i media, la promozione della parità dei generi dovrà diventare un parametro fondamentale. Il progetto propone di dare al Consiglio Superiore degli Audiovisivi (CSA) nuove competenze per rafforzare i diritti delle donne nei media, garantire una rappresentanza equa e assicurare la lotta contro la diffusione di stereotipi sessisti e di immagini degradanti della donna. Infine il disegno di legge vieta la partecipazione ai concorsi di bellezza alle minori di 13 anni, contro il fenomeno delle cosiddette “mini miss”.

Chi è favorevole e chi no
In Francia la discussione sul progetto di legge si è concentrata soprattutto su due emendamenti: quello relativo al congedo di paternità e quello sull’abolizione della condizione di détresse. I deputati dell’UMP (l’Union pour un mouvement populaire, partito di centrodestra all’opposizione) hanno sostenuto che la riforma dei congedi parentali sarebbe un’intrusione inaccettabile dello Stato nella libertà della coppia. Alcuni parlamentari dell’UMP hanno inoltre presentato un emendamento (non condiviso dalla maggioranza del loro partito) in cui a fronte della cancellazione del concetto didétresse proponevano venisse soppresso il rimborso dell’IVG da parte del servizio sanitario pubblico: l’emendamento è stato bocciato.

La legge sulla parità tra i sessi, i congedi di paternità, la modifica della legge sull’aborto, ma anche altre proposte del governo Hollande – come quella di una riforma della famiglia che permetta alle donne sole e alle coppie lesbiche di accedere alla fecondazione assistita o di ricorrere alla “gestazione per altri” o, ancora, il programma già avviato in 600 scuole francesi in via sperimentale per insegnare nelle scuole la “teoria di genere” cioè, semplificando, di tutto ciò che del maschile e del femminile è stato costruito storicamente, culturalmente e socialmente – sono diventate l’occasione di nuove proteste in diverse città della Francia organizzate da quei movimenti che già qualche tempo fa si sono opposti alla legalizzazione del matrimonio omosessuale: su tutti, quello di Manif Pour Tous, il gruppo integralista cattolico che domenica 2 febbraio a Parigi ha organizzato una manifestazione a cui hanno partecipato circa 100 mila persone secondo la polizia (500 mila secondo i promotori).

La portavoce di Manif Pour Tous ha detto che in Francia è in atto «una moltiplicazione degli attacchi contro la famiglia» e che questo metterebbe in crisi «il futuro della società». Manif Pour Tous ha avviato una campagna per far saltare un giorno di lezione al mese agli studenti iscritti nelle scuole in cui viene insegnata la “teoria di genere”. Inoltre, a seguito delle proteste di domenica, il governo francese ha deciso di rimandare – e non prima del 2015 – la presentazione del progetto di legge sulla famiglia, inizialmente prevista per aprile. Il governo ha anche sollecitato sul testo il parere del Comitato etico nazionale, che arriverà solo dopo le elezioni europee: Manif Puour Tous ha parlato di una «vittoria» per il movimento, mentre il ministro Najat Belkacem-Vallaud, ha giustificato questo passo indietro spiegando che «il governo, dandosi più tempo per elaborare il disegno di legge, vuole anche creare le necessarie condizioni di serenità per la discussione».

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Autore: Giulia Siviero

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