Sinergie tra proteste e social media

Sinergie tra proteste e social media

27/06/2013 – Pubblichiamo un interessante articolo di Bernardo Parrella, giornalista di temi legati a media e alle culture digitali, tratto da la rivista online “L’Indro” (www.lindro.it), sul rapporto tra le nuove tecnologie e le proteste in Brasile, Bulgaria e Turchia in relazione alle.

Dopo la Turchiail fuoco delle proteste arriva fino in Brasile e ora anche in Bulgaria. Grazie all’onda lunga dei social media, ancor prima e meglio del mainstream, quantomeno il pubblico globale è allertato con rapidità. Certo, impossibile evitare rumore e  ridondanza, ma un tale flusso incarna la voglia di cambiare emergente in Paesi e ambiti diversi: confusione accettabile e necessaria, pur con tutte le critiche al social odierno.

Mentre la situazione si fa sempre più critica per la presidente brasiliana Dilma Rousseff, torna utile la riflessione del noto giornalista locale Leonardo Sakamoto:

«Queste tecnologie di comunicazione non servono per descrivere la realtà, ma per crearla e ricrearla. Quando un individuo agisce attraverso questi network, non sta semplicemente facendo un resoconto degli eventi, ma inventa, esprime, modifica. Vive. Ciò sta lentamente cambiando sia il modo in cui si fa politica, sia le modalità della partecipazione sociale. Il potere dei rappresentanti, in termini di partiti, sindacati, associazioni e simili sta diminuendo, mentre aumenta di conseguenza l’azione diretta dei cittadini, in qualità di architetti della propria realtà politica».

Oltre a rilanciare la mappa delle proteste (http://kcy.me/n34t), nei giorni scorsi diversi netizen non hanno esitato a fare raffronti proprio con la situazione turca:  @Meditrina: «Il battito d’ali di una farfalla in Turchia ha scatenato un tornado in Brasile!». E @junaminas: «Siamo il Brasile, siamo la Turchia!»

Ancor più dopo il messaggio televisivo in cui la Presidente ha promesso una serie di riforme, aggiungendo: «Bisogna dare ascolto ai cittadini prima di tutto, non al potere economico». Pur se resta tutto da vedere se quest’intervento possa soddisfare o meno le aspettative generali,  le prime reazioni su Twitter trovano buona sintesi così: @FridaGColumns: «Il contrasto tra la risposta alle proteste in Brasile e in Turchia è sorprendente. La gente sarà felice di aver votato per Dilma».

Analogo il quadro in Bulgaria, pur se l’impeto dei manifestanti non ha ancora raggiunto le prime pagine dei grandi media. Qui il neo-governo deve fronteggiare l’opposizione popolare contro la nomina di un deputato del partito turco a capo dei servizi di sicurezza, già implicato in scandali per corruzione. Ma, come per i casi precedenti, non conta più di tanto quale sia la miccia specifica: il malcontento è inarrestabile, e chi usa il social non ha certo peli sulla lingua.

@Methodieff: «Circa 10.000 persone si sono riunite per chiedere maggior trasparenza, meno corruzione e la fine del governo oligarchico». @hristoborisov: «11 giorni di lotta per la vera democrazia in Bulgaria!» @IvetaCherneva: «Siamo solo l’inizio. Questo governo cadrà. Bulgaria, balla con me».

Come suggerisce qualcuno, non è neppure (più) l’austerity sul banco degli imputati, bensì “la natura stessa dello Stato”. Si tratta forse della nuova incarnazione del movimento Occupy del 2011, la protesta fine a se stessa? Oppure di sfide globali tese al cambiamento tout court? Con l’annessa carica di impazienza e urgenza, pur se poi la storia insegna che ci vorranno decenni  per implementare tali cambiamenti – sempre che riescano a concretizzarsi davvero.

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